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VITA FERMA (LA) - regia Lucia Calamaro

"La vita ferma", regia Lucia Calamaro. Foto Mariangela Loffredo. "La vita ferma", regia Lucia Calamaro. Foto Mariangela Loffredo.

sguardi sul dolore del ricordo (dramma di pensiero in tre atti)
scritto e diretto da Lucia Calamaro
con Riccardo Goretti, Alice Redini, Simona Senzacqua
assistenza alla regia Camilla Brison e Giorgina Pilozzi
disegno luci Loic Hamelin
scene e costumi Lucia Calamaro
contributi pitturali Marina Haas
accompagnamento e distribuzione internazionale Francesca Corona
una produzione SardegnaTeatro, Teatro Stabile dell'Umbria
in collaborazione con Teatro di Roma, Odéon – Théâtre de l'Europe, La Chartreuse – Centre national des écritures du spectacle e il sostegno di  Angelo Mai e PAV
al teatro Comunale di Casalmaggiore, 14 gennaio 2018

www.Sipario.it, 16 gennaio 2018

Casalmaggiore – La Vita Ferma di Lucia Calamaro è pensiero, parole e corpo, è teatro nel senso più alto del termine, è la dimostrazione che il teatro oggi è forse l'unico spazio in cui è possibile esercitare la libertà del pensiero. Si esce frastornati e trasformati da La Vita Ferma: sguardi sul dolore del ricordo (dramma di pensiero in tre atti). La domanda da cui parte la drammaturga e regista è: quando e perché il ricordo dei nostri morti venga meno, insieme al diminuire del dolore. Di fronte a questo affievolirsi del ricordo che fine fanno i nostri morti? Questo interrogativo si traduce per Lucia Calamaro in uno spettacolo potente, di straziante bellezza, in cui si ride e ci si commuove, in cui la luce abbacinante dei fondali azzurri, gialli, verdi si proietta su una platea continuamente interrogata dai tre personaggi: Riccardo, storico col pallino di Paul Ricoeur, Simona, la moglie e con ambizioni di danzatrice, la figlia Alice. Lucia Calamaro fa di questa riflessione, fa della domanda di come e di quando il ricordo dei nostri morti cominci a fare meno male e al tempo stesso a sfuocarsi una storia, concreta, concretissima, fatta e costruita da parole precise, scolpite nell'anima di chi le dice, incise nello sguardo dello spettatore, tanto concrete e vere da essere puro pensiero. La Vita Ferma si compone di tre atti, tre momenti per raccontare la perdita, la morte di Simona, la pretesa della donna di essere ricordata precisamente, l'oblio, il ricordo che si sfuma perché a sfumare è la sofferenza. Nel primo atto in un continuo fare scatoloni che diventeranno muro Riccardo dialoga con il fantasma della moglie che pretende di essere viva, chiede potentemente di essere ricordata e teme che l'inscatolare tutto e l'abbandonare la casa sia dimenticare, sia oblio. Il secondo atto è la storia della malattia, la malattia rifiutata e subita, è il dolore della piccola Alice, lo spaesamento del padre, il fuggire di Simona dalla consapevolezza della fine. Il terzo atto è l'oblio, è il ritrovarsi di Riccardo e Alice ormai grande e il cercare la tomba di Simona al cimitero, senza trovarla. E' il dolore anestetizzato dal tempo, il ricordo che si sfoca. Tutto ciò trova ne La Vita Ferma un nitore narrativo e iconico di assoluta, icastica bellezza. Si respira con gli attori, si soffre con loro, si vive la stessa situazione di sospensione che dà il dolore, l'assenza della perdita, il ricordo che si stempera col trascorrere del tempo. Le parole del testo di Lucia Calamaro sono di un'efficacia stupefacente, sono parole concrete, oggetti verbali. Si parla di corpo, di cose reali, precise, quotidiane, eppure tutto ciò assume l'astrattezza di un pensiero alto e profondo. Non c'è un termine fuori posto, non c'è una sola sbavatura in quanto viene narrato e agito, ma anche in come le parole di Lucia Calamaro prendono corpo sulla scena. La scena è concepita dalla stessa drammaturga in cui i colori del fondale si richiamano agli abiti bellissimi di Simona e Alice, allo stile stropicciato di Riccardo. In tutto questo gli attori sono veri, credibili, vibranti di emozione eppure controllatissimi. Riccardo Goretti, Alice Redini e Simona Senzacqua sono rispettivamente i personaggi: Riccardo, Alice e Simona, e questa coincidenza del nome di battesimo non è casuale, ma senza dubbio è la chiave, è il passe-partout su cui la regista Calamaro – e forse contestualmente la drammaturga – ha lavorato per inverare, incarnare ogni singolo fonema, oltre che ogni singola parola nei corpi, della mimica, nello stare vero e presente di tre attori dotati di una efficacia espressiva che raramente capita di vedere, che sembra appartenere più alle grandi scuole teatrali europei che alla nostra italiana. In tutto ciò noi spettatori siamo potentemente chiamati in causa, interrogati dai tre personaggi, un coinvolgimento emotivo e di attenzione che rompe la quarta parete, lacera lo spazio teatrale per proiettarsi sulla platea, nella consapevolezza che ciò che viene narrato ci appartiene, fa parte della nostra vita, della vita e basta e del dialogo con i nostri morti. Applausi commossi ed estasiati per un lavoro di grande intelligenza estetica, di pensiero e di cuore.

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Mercoledì, 17 Gennaio 2018 11:57

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