lunedì, 29 aprile, 2024
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ESTATE 2023 IN TOSCANA. -di Mauro Martinelli

"Dramma Industriale" - Festa del Teatro di San Miniato. Foto Danilo Puccioni, Stefano Bertoncini e Simone Borghini Photoinvespa "Dramma Industriale" - Festa del Teatro di San Miniato. Foto Danilo Puccioni, Stefano Bertoncini e Simone Borghini Photoinvespa

Le tradizioni servono a consegnare alle nuove generazioni qualcosa che arriva dal passato: pensieri, parole e storie capaci di valicare le epoche e raccontare ciò che siamo stati, anche per offrirci spunti e strumenti per proseguire il nostro cammino nel migliore dei modi. Le idee dei padri, all'epoca in cui nascono, sono l'espressione più adatta a quel momento storico. Ma poi? Se quelle idee restano immutabili e tutto il mondo attorno cambia? Se il futuro incede sempre più veloce con la globalizzazione, l'aumento dei flussi migratori, delle temperature e del livello degli oceani, l'invecchiamento delle popolazioni occidentali, la parcellizzazione e precarizzazione del lavoro, la perdita di significato del mondo di ieri? Allora le tradizioni si modificano, plasmando le proprie basi per appoggiarle su piedistalli diversi, magari più instabili, cercando nuove modalità per interpretare il presente. E il teatro è uno dei mezzi più adatti per raccontare questa transizione: perché può permettersi tempi adeguati all'analisi di una nuova realtà e alla sua successiva messa in scena; perché le varie anime che contribuiscono alla costruzione di una storia possono incidere, ciascuna, portando la propria esperienza e punto di vista; perché nella dinamica delle relazioni, in un'epoca che sembra privilegiare risposte semplici a problemi complessi, slogan pedestri e polarizzazione delle posizioni, il teatro favorisce apertura, confronto e riflessione. 

Insomma una forma di resistenza, civile e culturale, che i due festival estivi di cui parliamo hanno portato sul palco in questa estate 2023, modificando la propria identità storica e adeguandosi allo spirito dei tempi. 

Così la Festa del Teatro di San Miniato, arrivata felicemente alla sua LXXVII edizione, pur parlando di una vicenda avvenuta 70 anni fa, ha portato in scena dal 22 al 26 luglio un modello di confronto che ormai pare scomparso dai luoghi istituzionali ma che costituisce ancora oggi un esempio di come la politica potrebbe agire per promuovere benessere e sicurezza sociale. Scritto da Riccardo Favaro e diretto da Giovanni Ortoleva, due trentenni con uno sguardo generazionale molto specifico sull'attuale mondo del lavoro, "Dramma industriale (Firenze, 1953)", lo spettacolo principale della rassegna, si sviluppa attorno a un lungo tavolo da riunione, le cui gambe si appoggiano su un prato, e sopra il quale pendono alcuni manichini di grandezza umana. La dimensione della realtà e del sogno, i dialoghi e i soliloqui, si sovrappongono lungo la crisi personale del protagonista, Giorgio La Pira, per tre volte Sindaco di Firenze negli anni Cinquanta e Sessanta. Era un esponente di spicco della Democrazia Cristiana, partito proteiforme lontano anni luce dei partiti-azienda e dei movimenti personali di oggi, votati al culto del capo e privi di dibattito interno: La Pira, uomo di fede, esponente del cristianesimo sociale e per questo tacciato di simpatie comuniste dai suoi stessi compagni di partito, si trovò da Sindaco a fronteggiare la minaccia della chiusura delle Officine Pignone, una fabbrica di Firenze in cui all'epoca lavoravano 2000 operai. Una bomba sociale vera e propria, di cui La Pira prese immediata consapevolezza e che provò a disinnescare con le armi e il potere che il ruolo gli consentiva: dialogo, confronto, pressioni nei confronti dei potenti. Lo spettacolo racconta questo segmento di vita del protagonista introducendo sulla scena altri quattro personaggi (il Ministro, il Presidente, la Giornalista e il Ragioniere) in carne ed ossa, più alcuni comprimari, che vestono i panni dei manichini e che nel corso della vicenda saranno chiamati in causa dalle dinamiche della negoziazione. 

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"Dramma Industriale" - Festa del Teatro di San Miniato. Foto Danilo Puccioni, Stefano Bertoncini e Simone Borghini Photoinvespa

La Pira ha un sogno e una convinzione, quella di salvare i posti di lavoro: non lo fa per tornaconto personale, ma per sincera immedesimazione nelle storie di quei padri e madri che, con il lavoro in fabbrica, possono garantire un futuro alle proprie famiglie. Nel confronto con Amintore Fanfani, toscano come lui e suo mentore nel partito, emergono tutti i distinguo della politica, l'analisi delle retroazioni conseguenti alle varie scelte; in quello con il Ragioniere, proprietario della fabbrica in crisi, le ragioni del padronato e un suo sostanziale disinteresse per le persone che lavorano per lui. Mentre con Enrico Mattei, il Presidente del colosso energetico ENI, emerge uno spiraglio per far rilevare la fabbrica (cosa che poi avverrà, e ancora oggi a Firenze esiste il Nuovo Pignone) e salvare così la produzione; e con la Giornalista, voce della coscienza che espone al professor La Pira le varie opzioni in campo, il protagonista evidenzia il suo lato più intimo, quella che ritiene soprattutto una missione, con tutti i dubbi e le perplessità che un'operazione così complessa può comportare. 

La Pira, malgrado i fallimenti iniziali, la scarsa collaborazione incontrata e la profonda solitudine in cui si è ritrovato per il compito assunto agisce, come direbbe Gaber, "con la gran tenacia che è propria delle cose antiche", costruendo e alimentando ogni alleanza possa essere funzionale all'ottenimento dell'obiettivo. Il tavolo attorno al quale si muove insieme agli altri personaggi è quello della politica ma le parole arrivano da epoche remote, quando era ancora possibile unire passione politica e interesse spirituale, e l'arte del compromesso veniva utilizzata a scopi sociali. Dai dialoghi e dai sogni non emerge giudizio, solo una pervicace arte del rammendo e una convinzione che valica gli interessi di parte. La giovane età di autore e regista, e il coraggio di un'istituzione storica come quella della Fondazione Dramma Popolare nell'assegnare loro lo spettacolo principale dell'estate 2023, hanno determinato un connubio vincente in termini di contemporaneità e ritmo nella messa in scena, pur evocando una vicenda che oggi forse nessuno più ricorda - se non forse all'interno delle famiglie all'epoca coinvolte. Ottima la direzione degli attori, un gruppo coeso e armonico pur nelle differenti caratterizzazioni, per una vicenda che ci auguriamo non si fermi alla rappresentazione di San Miniato, ma possa approdare anche nei cartelloni invernali dei teatri italiani.

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Foto di scena by Emiliano Migliorucc

Anche il Teatro Povero di Monticchiello, nel suo spettacolo estivo andato in scena nella centralissima Piazza della Commenda dal 29 luglio al 14 agosto, ha guardato al passato, esattamente alla sera del 20 luglio 1969, data della prima del suo spettacolo di quell'estate, ma anche del primo sbarco dell'uomo sulla luna. La tradizione di questo piccolo borgo della Val d'Orcia, separata da pochi chilometri dal Comune di Pienza, di cui fa parte e che osserva da qualche chilometro di distanza, ha preso le mosse nel 1967 e ha portato in scena quest'anno la sua 57esima edizione. Definito da Giorgio Strelher "autodramma", questo rito collettivo nasce nelle sere d'inverno, in cui gli abitanti (circa 250) si riuniscono per decidere quale argomento affrontare nello spettacolo dell'estate successiva, per poi passare insieme alla scrittura scenica, alle prove e infine all'esordio e alle repliche. Esperienza del tutto particolare, che ha dato a questo borgo murato medievale un'identità che lo ha fatto conoscere anche fuori dalla Toscana, portando il suo nome in giro per il mondo. "Colòni", lo spettacolo di quest'anno, prende le mosse da quella notte del '69, una delle poche date che ciascuno di noi, almeno chi c'era, ha inscatolato nella sua memoria episodica, quel settore della memoria a lungo termine che secondo Tulving ci fa ricordare dove eravamo e cosa stavamo facendo in un determinato momento. 

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Foto di scena by Emiliano Migliorucc

Sullo sfondo del palco, nella parte più alta, si trova un grande cerchio all'interno del quale è montato un telo color della luna. Su tale schermo atipico verranno proiettati pezzi della nostra storia, a partire dalla diretta di Tito Stagno la sera in cui l'uomo allunò sul nostro satellite. In quella sera di luglio del 1969, poco prima di andare in scena a raccontare nello spettacolo la vittoria dei partigiani monticchiellesi del 6 aprile 1944, gli attori si interrogavano su quali mondi avrebbe aperto una tale conquista: da una parte un passato da non dimenticare e raccontare ai più giovani, per far comprendere come la democrazia, il diritto di voto e la possibilità di vivere in un mondo libero siano state conquiste per nulla scontate; dall'altra un futuro che si apriva su nuovi mondi, promettendo mille possibilità. Ma, parafrasando il personaggio di un film di Ettore Scola, il futuro è passato e in pochi se ne sono accorti. Così nel 2030, anno in cui si apre la seconda scena, i monticchiellesi seguono un corso di formazione organizzato da una preparatrice in vista del loro trasferimento sulla luna. In un futuro ormai molto prossimo si immagina che il Chianti venga prodotto in Finlandia, il Brunello sul Baltico e l'olio in Uzbekistan: la terra è arida e non è più possibile coltivarla, e anche i campi per i pascoli si sono desertificati, così la comunità, dopo aver visto che altri lo avevano già fatto con successo, ha deciso di trasferirsi sulla luna. Le è anche stato assegnato un cratere dove andare a vivere, chiamato Geminino Montanari, un astronomo del Seicento. Ma razzi a buon prezzo non se ne trovano e le risorse dei futuri viaggiatori sono ridotte, per cui è stato possibile acquistare solamente un razzo d'occasione, con una portata ridotta: ciascuno, quindi, potrà portare con sé solo ciò che ritiene indispensabile. Inizia così un confronto tra tutti gli abitanti del borgo su cosa è davvero importante, cosa portare con sé e cosa lasciare a terra. Si vedono così sul palco decine di paia di scarpe, sci, orologi, simboli del consumo dai quali le persone faticano a staccarsi. Ma il confronto tra loro, dopo aver valutato anche di rinunciare al viaggio, li porterà finalmente a capire ciò che conta davvero.

Con felice sintesi, "Colòni" esprime la duplice veste dei protagonisti, un tempo lavoratori della terra e il tempo dopo decisi ad abbandonare la Terra per ricostruirsi una nuova vita su un altro pianeta. Nella rinnovata avventura artistica del Teatro Povero, che ha accolto l'eredità del fondatore Andrea Cresti adattandola ai tempi e alle aspettative del pubblico, i registi Gianpiero Giglioni e Manfredi Rutelli hanno avuto la capacità di mantenere uno sguardo storico sul borgo, un'analisi critica del mondo contemporaneo, aggiungendo però una scorrevolezza e un'ironia che rendono lo spettacolo un piacere oltre che uno spunto di riflessione. L'amalgama tra attori storici e nuove leve, unita a una brillantezza di dialoghi a cui non eravamo abituati, ha reso lo spettacolo annuale di Monticchiello un'esperienza teatrale di buonissimo livello ma soprattutto un piacere da rinnovare estate dopo estate, per tanti anni ancora.   

Mauro Martinelli

Ultima modifica il Martedì, 26 Settembre 2023 11:40

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