martedì, 30 aprile, 2024
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ALLA "KOMISCHE OPER" E ALLA "STAATSOPER UNTER DEN LINDEN" A BERLINO. -di Grazia Pulvirenti

"Rusalka", regia Kornél Mundruczós "Rusalka", regia Kornél Mundruczós

Si andava, un tempo, alla “Komische Oper” per godere di spettacoli “leggeri” o comici, con un ricco repertorio di varianti rispetto al melodramma, dall’opéra comique al varietà e al musical. La “Staatsoper” manteneva il profilo della seriosità e offriva nuove produzioni del repertorio classico. Ne conseguiva una distinzione fra le due case operistiche basata sul repertorio e su una migliore qualità che sembrava appannaggio di quest’ultima. La guida di Barrie Kosky come sovrintendente e direttore artistico ha mutato la stereotipia di cui sopra. Per l’anno 2012-2013 la “Komische  Oper” ha ricevuto il riconoscimento di teatro d’opera dell’anno, nel 2014 Barrie Kosky è stato insignito del premio di “Opernwelt2 come miglior regista d’opera dell’anno, e nel 2015 il teatro da lui diretto ha ricevuto l’ International Opera Awards a London ancora come miglior teatro d’opera dell’anno. Il repertorio da lui scelto ha visto un cambiamento verso la ricerca di titoli che includono il Singspiel (ha messo in scena uno straordinario Flauto magico) e titoli meno usuali, come The Monteverdi Trilogy, Ball im Savoy, West Side Story, Moses and Aron, Les Contes d’Hoffmann, Jewgeni Onegin, The Pearls of Cleopatra, The Fair at Sorochintsi, Pelléas et Mélisande, Anatevka. Dal 2022 il ruolo di sovrintendente è passato a Philip Bröking insieme a Susanne Moser e Barrie Kosky continua a essere presente con le sue regie. 

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Due, fra queste, straordinarie, hanno avuto come riferimento il racconto popolare rivissuto, con scelte stilistiche differenti, entrambe di grande efficacia. Per Anatevka, musica di Jerry Bock, libretto di Joseph Stein su storie di Scholem Alejchem, il regista dà vita a una singolare forma di musical, tutto basato su una ricchezza di spunti comico-satirici in grado di rendere viva la coralità della comunità del villaggio, proiettando la narrazione in uno spazio sospeso fra comicità e tragedia. L’ironia mette in luce la critica alla resistenza della tradizione all’interno della piccola comunità ebraica, che viene apparentemente disgregata dalla opposizione dei giovani al coriaceo rifiuto di novità della generazione dei padri. In realtà ciò che veramente metterà a repentaglio la piccola comunità, costringendola alla diaspora è il progrom che disperderà i tanti personaggi in mille direzioni, come accade, non esita a notare Barrie Kosky nelle note di regia, ai palestinesi di oggi. La regia, con l’efficace e onirico impianto mobile di Rufus Didwiszus – una parete di armadi affastellati da cui entrano e fuoriescono i numerosi personaggi, e con i costumi di Klaus Bruns, in cu la ricerca filologica si mescola con l’invenzione e la originalità dei più minuti particolari, conferisce un ritmo straordinario all’idea di mutamento, oltre ad essere estremamente funzionale al continuo vorticare di scene. Trascinante la conduzione musicale di Koen Schoots, che alterna ritmi incalzanti a squarci contemplativi e alla poetica melanconia di certi scorci, come quello dell’ultima scena. Tra i numerosissimi interpreti un plauso speciale va a Max Hopp, attore berlinese, noto anche attraverso il cinema, dalla esuberante presenza scenica e bravura interpretativa. 

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Altre atmosfere crea Barrie Kosky per l’allestimento di un’opera raramente eseguita, ma di straordinaria bellezza musicale, Il gallo d’oro di Nikolaj Andreevič Rimskij-Korsakov, libretto di Vladimir Bel'ski, ispirato a Puškin, opera che non fu mai messa in scena durante la vita del compositore per la sua evidente denuncia di ogni forma di dittatura. L’opera venne infatti composta a seguito della “Domenica di sangue” che ebbe luogo a San Pietroburgo nel 1905. Il regista ha scelto di ridurre sensibilmente i dettagli della fiaba russa, così da rendere la narrazione più fluida ed efficace la drammaturgia. Del folclore russo rimane il sapore della magia che accompagna soprattutto i personaggi dell’Astrologo e della Regina di Šemacha, ma predominante risulta il sarcasmo con cui il regista disegna il personaggio dello zar Dodon, esaltandone la natura grottesca e  facendo di lui una feroce caricatura della arroganza e miseria del potere. Grandi interpreti per questa produzione diretta da James Gaffigan, che mette in luce il tono crepuscolare e malinconico della fine di un mondo e la grifagna rozzezza del male. Questi due opposti sono impersonati dalla misteriosa Regina interpretata da una bravissima Kseniia Proshina, dal registro ampio, sorprendente negli acuti, nonché una tecnica eccellente che le ha consentito di dispiegare una gamma di colori seducenti e voluttuosi.

Il debutto più atteso del mese di febbraio ha avuto luogo alla “Staatsoper” e ha lasciato il pubblico piuttosto perplesso, con dei buh urlati nel primo intervallo. Il regista Kornél Mundruczós ha ambientato la vicenda in un edificio berlinese, con una comune di fanciulle sfigate al pian terreno, un attico per la casa del principe e  uno scantinato umido per la scena finale. Rusalka appare in un vasca da bagno, dove consuma il primo atto, mentre all’incontro con il principe ritira la biancheria dalla lavatrice e la piega con lui. Riappare a contorcersi nell’attico e finisce la sua storia nei panni di un grande verme nero che striscia nello scantinato del palazzo. E altro non aggiungo su questa regia brutta e piena di gratuità che, non solo cozzano con la musica, ma sono esse stesse banali e poco incisive. Alla bravura scenica della protagonista, Christiane Karg, non corrisponde una efficace resa vocale, apparendo la cantante piuttosto in difficoltà nella parte, con un continuo vibrato e un’emissione esile. Accanto a lei anche il Principe di Pavel Cernoch ci è apparso in difficoltà tanto nell’intonazione, quanto negli acuti raggiunti con difficoltà. Eccellenti il basso Mika Kares nel ruolo dello Spirito della acque, dall’emissione potente e dal colore brunito, come anche Anna Kissjudit  efficacissima, comica e terribile nel ruolo della strega. Su tutto domina la conduzione musicale di Robin Ticciati che sul podio della “Staatkapelle Berlin” ha restituito in cromatismo e dinamiche la natura onirica e drammatica della fiaba cui si è ispirato Dvořák in questa sua invenzione tardo-romantica. Da gustare a occhi chiusi.

Ultima modifica il Martedì, 16 Aprile 2024 07:19

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