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RE MUORE (IL) – regia Maurizio Scaparro

 da sin. Gabriella Casali, Claudia Portale, Edoardo Siravo in "Il Re Muore", regia Maurizio Scaparro. Foto Dino Stornello da sin. Gabriella Casali, Claudia Portale, Edoardo Siravo in "Il Re Muore", regia Maurizio Scaparro. Foto Dino Stornello

di Eugène Ionesco
Regia Maurizio Scaparro
Interpreti: Edoardo Siravo, Isabel Russinova, Gabriella Casali, Alessio Caruso, Claudia Portale, Michele Ferlito
Musiche: Nicola Piovani
Assistente musicale: Pasquale Filastò
Costumi: Stantuzza Calì. Costumista assistente: Paola Tosti
Decoratrice: Caterina Pivirotto. Elementi di scena: Antonia Petrocelli
Aiuto regia: Michele Ferlito. Assistente alla regia: Alessandro Laprovitera
Luci: Andrea Chiavaro.
Ufficio stampa: Maria Enza Giannetto
Foto di scena: Dino Stornello
Produzione: Gianmarco Piccione
Teatro Brancati di Catania dal 15 al 19 novembre 2023

www.Sipario.it, 17 novembre 2023

Gira voce a corte che il re è prossimo a morire. Tutti lo sanno tranne lui, Bérenger appunto, convinto di morire quando lo deciderà lui. Glielo comunicano senza mezzi termini la regina Marguerite, sua prima moglie, e il suo medico personale, pure chirurgo, boia, batteriologo e astrologo. E ne sono a conoscenza la regina Marie, sua seconda moglie, la donna di faccende e infermiera Juliette e la guardia con alabarda in mano che con dei colpi sul palco scandisce le entrate dei personaggi.  Che sono sei ne Il re muore (1962) di Ionesco, uno dei testi più rappresentativi del Teatro dell’Assurdo, messo in scena da Maurizio Scaparro con la finezza che caratterizzava questo regista romano, scomparso lo scorso febbraio, senza aver goduto appieno del successo che lo spettacolo sta riscuotendo non solo al Brancati di Catania, accompagnato dalle accattivanti musiche di Nicola Piovani e i bei costumi di Santuzza Calì. Quando all’inizio nella sala regale, con trono al centro e due più piccoli ai lati, appare Beranger, tutto festante e pieno di salute, quello che Edoardo Siravo veste con grande padronanza, variando toni, voci e posture del paradigmatico personaggio, non crede affatto a quello che gli pronosticano in maniera definitiva sia la spietata Marguerite  splendidamente vestita da Isabel Russinova, sia il su medico (Alessio Caruso), senza sortire alcun beneficio le parole  affettuose dell’amorevole Marie di Gabriella Casali e della Juliette di Claudia Portale che cerca di essergli sempre d’aiuto. É come se le parole, “guarda che devi morire”, avessero la forza di penetrare il cervello di Béranger e alla fine farlo morire davvero, avendo però il tempo di enunciare argomenti intelligenti, accostabili ad alcuni miti di origine celtica riguardanti la sterilità, l'impotenza di un re, rinvenibili ne La Terra desolata di Thomas Stern Eliot, accanto a infinità di assurdità enunciate dalla guardia di Michele Ferlito, come quelle che Bérenger ha inventato la polvere da sparo e l’automobile, il telefono e il telegrafo, progettato la Tour Eiffel, costruito Roma, New York e Mosca, scritto l’Iliade e l’Odissea nonché tragedie e commedie sotto lo pseudonimo di Shakespeare.  Forza la mano la solita Marguerite quando dice che all’inizio il suo regno aveva nove miliardi di abitanti, poi tutti fuggiti perché era diventato impossibile viverci, per le voragini, le città rase al suolo, le piscine incendiate e i bar deserti. E dove sono i ministri del regno? Chiede Bérenger. Lungo i ruscelli a pescare qualche pesce per nutrire la popolazione, gli risponde Juliette. Sono pure scomparsi i bambini, i soli rimasti sono ritardati, mongoloidi, idrocefali, nessuna speranza per il futuro. «Tu morirai alla fine dello spettacolo» gli dice la solita Marguerite. «Morirò quando voglio» ribatte Bérenger. «Avete perso ogni potere di decidere da solo» controbatte il medico. É alle strette il povero Bèrenger. È come un pugile messo all’angolo, un re che si muove su una poltrona a rotelle spinta da Juliette. Vorrebbe fare arrestare i suoi contendenti ma la guardia si blocca, ha la gotta e i reumatismi. Marie è la sola a dargli un po’ di conforto. Ma non basta perché si rende conto d’essere un perdente non più in grado di ordinare alla pioggia di cadere o al tempo di tornare indietro. «Perché sono nato – si chiede somigliando ad un bambino - se non doveva essere per sempre?». Non trova risposte Bèrenger. Si rende conto d’essere vissuto senza avere avuto il tempo di conoscere la vita, pur avendo partecipato a migliaia di battaglie e avere massacrato i genitori, compresi amici e parenti di Marguerite (da qui il suo evidente odio verso di lui). Ora cerca il sole, la luce, Bèrenger, perseguendo quel motivo per cui è meglio rimpiangere che essere rimpianti, avvertendo che attorno a lui non si piange abbastanza, non c’è angoscia. È uno spettacolo in cui ci si può divertire pensando, lì dove ad esempio Bèrenger dialogando con Juliette, costei gli dice che è vedova, si alza presto, ha le mani screpolate perché lava la biancheria a mano, intromettendosi Marguerite chiarendo che nel palazzo non c’è la lavatrice perché hanno dovuta lasciarla in pegno per un prestito di Stato. Anche l’amore di Marie non aiuta Bèrenger a farlo risollevare un po’, anche quando lei gli sussurra che l’amore è folle e se lui la ama svisceratamente la morte si allontana. E come per i grandi re del passato dopo di lui ci sarà solo il diluvio. Adesso lentamente si volatilizzano Marie, poi la guardia, il medico, Juliette e rimangono soli sul trono centrale, illuminato di rosso, Bèrenger abbracciato da Marguerite, simile all’eterna nemica che lo conduce nei campi elisi, accorciando di parecchio le tre lunghe battute finali.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Sabato, 18 Novembre 2023 09:29

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