Pluto di Marco Martinelli e tutti gli altri
Drammaturgia e regia Marco Martinelli
assistenti alla regia Gianni Vastarella, Valeria Pollice e Vincenzo Salzano
con la collaborazione delle guide teatrali del progetto “Sogno di Volare”,
spazio e luci Vincent Longuemare, costumi Roberta Mattera,
musiche Ambrogio Sparagna, musiche eseguite da Erasmo Treglia, Vincenzo Core, Antonio Matrone
con partecipazione degli alunni del Polo liceale “Ernesto Pascale” di Pompei, Istituto Tecnico “Eugenio Pantaleo” di Torre del Greco,
Istituto Tecnico “Renato Elia” di Castellammare di Stabia, Liceo “Giorgio De Chirico” di Torre Annunziata
produzione Parco Archeologico di Pompei in collaborazione con Ravenna Festival, Teatro Mercadante - Teatro Stabile di Napoli
Visto al Teatro Alighieri di Ravenna, nell'ambito di Ravenna Festival, il 29 maggio 2024
Dovrebbe essere noto a tutti, ma sono tempi in cui è facile dimenticare (ed essere dimenticati), che il teatro dei “Classici” a partire dall'antico teatro ateniese, quello tragico ma forse soprattutto quello comico, continua a custodire i messaggi essenziali del vivere comune, a democratica disposizione dei molti, anche se pochi ormai continuano testardamente ad avvalersene. Confronti e scontri, diseguaglianze feroci e dolorose ingiustizie che, se qualcuno, in primis noi stessi, non ci dà una mano (e due occhi e due orecchie belle aperte) sembrano oggi sommergerci, sommergendo la speranza che qualcosa possa cambiare in meglio. E il più essenziale di tutti, da cui tutti gli altri dipendono, è in fondo proprio il confronto-scontro tra povertà e ricchezza (come non ricordare il teatro 'povero' sogno di Grotowski) che il Pluto di Aristofane mette magistralmente in commedia senza risparmiarci nulla da ormai più di duemila anni. L'estetica e suggestiva intuizione teatrale dell'unico autore comico greco giunto fino a noi è infatti illuminante nella sua ironica sentenza drammaturgica: la ricchezza va sempre a finire in mano ai malfattori perché il divino Pluto è cieco (come la Fortuna ma purtroppo non con la stessa attenzione al 'caso'). Il ribaltamento scenico causato da Cremilo che gli restituisce la vista, porta finalmente giustizia (almeno sul palcoscenico!?). Una favola brecthianamente dissociante che vuole innescare una prospettiva 'rivoluzionaria'. Del resto è curioso quel certo ribaltamento, a volte debolmente combattuto, nella percezione 'sovrastrutturale' indotta dalla prevaricante struttura economica e finanziaria oggi egemone (una vera e propria Plutocrazia), per cui nei fatti i Plutocrati (da Berlusconi a Trump) sembrano essere diventati i migliori amici di un 'popolo' che non è più classe. Nel suo lungo viaggio nel tempo e nello spazio il dio della ricchezza ha ora incontrato la 'messa in vita' di Marco Martinelli in una rinnovata forma della sua “non scuola”, intorno alla quale è superfluo aggiungere alcunché, che ha messo un'altra sua radice a Pompei, grazie al Parco Archeologico, a Ravenna Festival e al Mercadante Teatro Stabile di Napoli, ritrovando anche vecchi (non tanto) compagni di strada di “Arrevuoto”. Il teatro infatti è sempre rivoluzionario, anche quando e spesso è tradito, il teatro è, parafrasando Marco Martinelli e Ermanna Montanari, piantare testardamente un melo tra le macerie fino a che non dà frutto (come in una antica favola riproposta da Tarkovskij nel suo bellissimo ultimo film Sacrificio e poi da Pino Petruzzeli nel suo recente spettacolo Erkin). Dunque in questo Pluto, andato in scena per due giorni al Teatro Grande degli Scavi di Pompei e poi al Teatro Alighieri di Ravenna per una sola replica, c'è Aristofane, c'è Marco Martinelli, con tutto lo staff del Teatro delle Albe ma soprattutto ci sono gli altri, i molti in rappresentanza di tutti del Coro, segno distintivo quest'ultimo dell'attuale fase attraversata dalla drammaturgia corsara di Martinelli. Ed è proprio dal Coro, nello specifico e per la cronaca gli alunni di quattro Istituti Superiori dell'hinterland di Napoli, che infatti si genera, condotto ma mai ammaestrato o domato dalla mano esperta del regista/guida, il teatro come spettacolo 'da tutti a tutti'. E tutti i ragazzi si sono dimostrati bravi gestendo con misura anche quella empatia che è a loro naturale. Ci è capitato di fare esperienza di molte 'rivisitazioni' dei classici, ma questa, come le altre della “non scuola” non è una visita 'giudata' al Museo del Teatro, è teatro oggi, un teatro in cui le contraddizioni e le ingiustizie che ci capita di vivere usano la grammatica dell'oggi, le parole esperite e vissute nell'oggi, scoprendosi esse, con meraviglia, così simili a quelle antiche che qualcuno vorrebbe incidere sul marmo per poi archiviarle in uno scantinato. Aristofane con un siffatto Pluto, come direbbe Edoardo Sanguineti, è pertanto avanguardia che si rifiuta pervicamente e rivoluzionariamente di farsi 'museo'. Essendo inoltre soprattutto emozione esperita nel “qui e ora” è un po' allergico all'essere raccontato (la storia di Pluto e Cremilo l'abbiamo a sufficienza richiamata), piuttosto va solo ricordato come una occasione non ripetibile, quale è nella naturale contingenza dell'accadimento teatrale, e come un evangelico lievito in cui maturare occasioni e azioni. Le parole infatti servono, sulla scena e fuori dalla scena, solo quando non sono inutili ovvero superflue. Comunque un successo 'comico' che sembra aver dato, in scena e fuori scena, qualche attimo di pensosa allegria (del resto Totò è pur sempre napoletano). Maria Dolores Pesce