Direzione artistica: Luigi Dadina, Lanfranco Vicari
Regia: Luigi Dadina
Drammaturgia: Tahar Lamri
Collaborazione artistica: Spazio A – Camilla Berardi, Marco Montanari, Marco Saccomandi
Direzione organizzativa e logistica: Federica Francesca Vicari
Coordinamento organizzativo: Hiba Alif, Greta Mini, Marco Molari, Federica Savorelli
Scene: Alessandra Carini, Nicola Montalbini
Supervisione costumi: Federica Savorelli, Federica Francesca Vicari
Composizione musiche e arrangiamenti: Francesco Giampaoli
Songwriting: Lanfranco Vicari
Coordinamento musicale: Francesco Giampaoli, Enrico Bocchini
Coordinamento coro: Jessica Doccioli, Lanfranco Vicari
Cura degli spazi scenici: Massimiliano Benini
Ideazione grafica: Massimiliano Benini
Layout grafico: Silvia Montanari
Responsabile tecnico: Matteo Rossi
In scena: Camilla Berardi, Marco Montanari, Marco Saccomandi e il Coro del Grande Teatro di Lido Adriano
Coproduzione CISIM|LODC, Ravenna Festival
In collaborazione con Ravenna Teatro / Albe e Equidistanze | Residenze Artistiche
Fotografie Nicola Baldazzi
Riprese video Antropotopia
Realizzato con il contributo di Comune del Ravenna
CISIM, Lido Adriano, 1 giugno 2024
Porta d’Oriente l’Adriatico, e lo senti nelle lingue che si avvicendano nelle strade di Lido Adriano, l’anno scorso con il “Verbo degli uccelli”, poema mistico persiano, quest’anno con il “Panchatantra”, per la messinscena curata da Luigi Dadina delle Albe nell’ambito del Ravenna Festival, essa viene di nuovo a delinearsi, idealmente, con il teatro, sul nostro cupo orizzonte d’Occidente interrogandoci: sulla migrazione, sull’incontro tra popoli, sulla situazione umana attuale. Il “Panchatantra” è una antica raccolta di fiabe dell’India (III secolo d. C.), giunta in Europa dalla Persia, in un viaggio linguistico che dal sanscrito passa per il “pahlavi” (medio persiano), l’arabo, l’ebraico, fino a giungere a una versione latina nel XIII secolo: animali che tipizzano, distanziandole e insieme rilevandole, figure e vicende tutte umane. La drammaturgia di Tahar Lamri prende una delle fiabe, quella al cui centro c’è l’inganno ordito dallo sciacallo Dimna per mettere in cattiva luce il toro nella considerazione del re (il leone). Assistiamo alle manovre subdole dello sciacallo, sentiamo diffondersi i sentimenti umani più distruttivi: invidia, gelosia, brama di potere, avidità. Se fino a qualche tempo fa questa storia ci sarebbe sembrata, non solo per la sua collocazione temporale bensì per la temperatura della nostra storia recente, un monito sempre vivo ma come cristallizzato in un gesto non più così eloquente, vista l’atmosfera generale delle nostre società, ora, a più di due anni dallo scoppio della guerra in Ucraina e in una situazione politica globale dove le autocrazie tendono a imporsi come alternativa, le manovre propagandistiche dello sciacallo, la sua capacità di diffondere la menzogna e su questa erigere un’autorità fondata sull’ignoranza e sulla paura, non ci sembrano più tanto confinate in un passato definitivamente archiviato. Per questo la scelta del testo e della compagine artistica si situa in una zona d’azione dove il coraggio civile di dire le cose come stanno si affianca, e la rafforza, alla scelta che a raccontare questa storia sia il campione di una umanità varia per età, provenienze geografiche, etniche e culturali, in un intreccio di lingue, volti, atteggiamenti, corpi, mentalità, abilità, voci i più diversi; e ci mostra in filigrana il livello della situazione attuale dell’umanità; la quale, pur essendo ben lontana dal provarci, potrebbe puntare sulla con-fusione cooperativa – come accade qui con il cimento del teatro – per uscire da certe impasse, affrontando le contraddizioni senza paura, coltivando la pace, misurando con buon senso, magari con saggezza, il confine tra verità e menzogna. Le trame dello sciacallo vengono poi sventate, in un lieto fine che è festa della presenza. Nel “buio” che sta calando sul nostro mondo (in questo senso lettura sconvolgente è il nuovo libro di Antonio Moresco “Canto del buio e della luce”), l’operazione di Dadina e del Grande Teatro di Lido Adriano è una luce che grida con voce multilingue la drammatica e insieme gioiosa tensione verso una verità dell’uomo che non sia quella animalescamente umana. Ma non si pensi che possa bastare il senso “ecumenico” dell’operazione per raggiungere un tale risultato, senza la forza del mestiere, la sensibilità, l’esperienza di Luigi Dadina. 95 presenze, tra attori, non-attori (dai bambini agli anziani) e musicisti, ognuno dei quali si colloca con naturalezza nelle maglie di una drammaturgia che deve gestire macro-personaggi, sorretta da una scrittura scenica corale articolata, complessa. Franco Acquaviva