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K.313 - regia Luigi de Angelis

K.313 K.313 Regia Luigi de Angelis

di Fanny & Alexander
da "Breve canzoniere" di Tommaso Landolfi
regia Luigi de Angelis
con Marco Cavalcoli e Chiara Lagani
Dro (Trento), Parco della Centrale Fies, 27 luglio 2008

Corriere della Sera, 3 agosto 2008
I versi degli amanti-terroristi

Il regista Luigi De Angelis e la drammaturga Chiara Lagani (Fanny e Alexander) lavorano per serie. K.313 è, della serie dedicata a Tommaso Landolfi, il secondo spettacolo: debole come il primo, Amore. Ma nel primo c' era un' immagine forte, quella del suo interprete Marco Cavalcoli con un agnellino in braccio. L' immagine di K.313 è sopraffatta dalle intenzioni dei suoi autori. Già è complicato il punto di partenza, Breve canzoniere di Landolfi, un prosimetro che esibisce numerose caratteristiche: non solo, come è proprio del prosimetro, una miscela di prosa e versi; ma anche il restauro del sonetto (siamo nel 1971), come più tardi avverrà in libri di Zanzotto, Raboni, Bandini, Valduga; e una serie di incipit narrativi, come nel 1979 in Se una notte d' inverno di Calvino. Altra peculiarità, ripresa nello spettacolo: nel romanzo di Landofi, se così lo vogliamo chiamare, non vi è che dialogo tra i due protagonisti, i due amanti; il loro problema, in fondo, è l' autenticità, ovvero la durata, del loro amore: che in altri termini è la durata, ovvero l' autenticità, del loro linguaggio: da cui lo sbocco finale nel concerto di Mozart che dà il titolo allo spettacolo. A complicare le cose c' è l' interpretazione, cioè la sovrapposizione visiva adibita da Monica Bolzoni che ha disegnato i costumi. I due interpreti, Cavalcoli e la Lagani, sono vestiti come i terroristi ceceni di Mosca nel 2002. Non solo. La loro immagine è raddoppiata in un film che scorre alle spalle dei dialoganti. Perché? Perché, secondo la Lagani, il linguaggio di Landolfi è a suo modo terroristico. A certificare la gratuità di questo accostamento c' è il modo in cui gli attori recitano - non caustico e sferzante, come in Landolfi, che fa del suo testo un' antifrasi del concerto K.313, e che dunque dà all' insieme un senso davvero critico, o moderno (non già «terroristico») - ma in modo quotidiano, feriale, come tra due amanti che siano sfibrati dal proprio amore, più che come amanti che il loro amore vogliano mettere alla prova di una parola conclusiva, quella che tende alla propria trasformazione in musica. Dice lei, verso la fine: «O vorresti davvero, oseresti sgomentare Mozart dalla sua tomba e porre i nostri ciechi balbettii sotto il suo santo patrocinio?» Più tardi, lui risponde: «Ciò che conta non è fare il verso alle armonie, ma raggiungere quella divina inconcludenza... Cara! quanto disadorno, il nostro proprio discorso, quanto avverso a ogni musica dell' animo come dei sensi; che parole irte, cupe, trite, logore, polverose, le nostre». Ecco, la Lagani e Cavalcoli, irriconoscibile rispetto all' attore maiuscolo, grandissimo che avevamo apprezzato in Him (della serie Il mago di Oz), letteralmente parlano con parole che risultano «irte, cupe, trite, logore, polverose», insomma opache e, per lo spettatore, sommamente noiose. Nel semibuio, ovvero nella semi-cecità delle bende e del «cinema», essi si siedono, si mascherano, si gingillano, finiscono per destituire di ogni fondamento e tragicità la scena. Con i loro costumi-maschere che, in quanto firmati, restano nel mero circuito linguistico-artistico-duchampiano, evocando costumi-travestimenti sobri e austeri fino alla morte, dovrebbero innalzare, come fosse necessario, al rango dell' autenticità dell' oggi il testo di ieri. Finiscono, al contrario, per annichilire il testo di ieri - e il suo sbocco nella gloria di Mozart - sprofondandoli nel «sistema della moda» evocato da Monica Bolzoni, o nella poltiglia del web, così spesso citato da Chiara Lagani.

Franco Cordelli

Ultima modifica il Domenica, 11 Agosto 2013 09:31

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