Melodramma in quattro atti su libretto di Francesco Maria Piave e Andrea Maffei dall'omonima tragedia di William Shakespeare. Musica di Giuseppe Verdi
Direttore d'Orchestra Andrea Battistoni, Regia e Luci Henning Brockhaus, Assistente alla regia Valentina Escobar, Scene Josef Svoboda, Ricostruzione allestimento scenico Benito Leonori, Costumi Nanà Cecchi, Coreografia Maria Cristina Madau
Allestimento in coproduzione con Fondazione Teatro Lirico G. Verdi di Trieste e Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi, Orchestra e Coro Teatro Carlo Felice, Maestro Patrizia Priarone, Maestro del Coro di voci bianche Gino Tanasini
Con George Gagnidze, Roberto Scandiuzzi, Maria Guleghina, Sara Cappellini Maggiore
Teatro Carlo Felice di Genova dal 19 al 27 gennaio 2013
Un mondo violento, incomprensibile, usurato dalla brama di potere. Guerrieri inconsapevolemente morti che si aggirano per il palcoscenico mossi da un insensato spirito di prevaricazione. È in questa visione disperata che si inscrive il Macbeth di Giuseppe Verdi secondo Josef Svoboda e Henning Brockhaus, allestimento storico che il Teatro Carlo Felice ha ricostruito per inaugurare il 2013 delle celebrazioni verdiane.
Già visto a Genova nel 1998, il titolo regge ancora piuttosto bene alla sua più che ventennale militanza per i teatri di mezzo mondo: sebbene alcune soluzioni mostrino inevitabilmente il fianco al passare del tempo, i punti di forza di questo classico della scenografia stanno ancora lì a testimoniare la cifra del genio di Svoboda (e la bravura di Benito Leonori nel ricostruirla). I giochi di luce sui veli, le proiezioni, le trasparenze, gli specchi che si animano a seconda dei tagli dei proiettori sono soluzioni che attingono a quell'artigianalità del fare teatro che soltanto lo spettacolo dal vivo è in grado di restituire.
Il mondo disperato creato da Svoboda e Brockhaus è quello di cui ragiona Macbeth nel momento della resa, «il racconto di un povero idiota/vento e suono che nulla dinota». E non a caso, chiunque calchi quella landa maledetta – sia esso un re o l'ultimo dei servitori – ha il volto coperto da un mascherone di trucco bianco. I carnefici Macbeth e Lady, ma anche i giusti Malcom e Macduff, si trascinano lungo i quattro atti nelle loro conquiste incomprensibili, animati da una brama di potere insensata e incontenibile. I fantasmi che tarlano la mente della coppia infernale si aggirano per il palcoscenico: mimi striscianti che li seguono a ogni passo, ne commentano l'azione, crescono con il crescere della loro potenza. E ne assecondano la caduta stendendo un velo funebre di lumini nella grande scena del sonnambulismo.
Per dare voce e corpo alle intuizioni di Svoboda e Brockhaus, il Carlo Felice – con notevole sforzo – ha scritturato un cast con nomi di peso: la star Maria Guleghina, George Gagnidze e l'astro nascente della nostra direzione, il 25enne Andrea Battistoni, che dopo aver diretto in mezza Europa l'anno scorso è stato il più giovane direttore a salire sul podio del Teatro alla Scala.
Le numerose ombre dell'impostazione registica si sono riverberate sui risultati delle performance artistiche, con alternanze di momenti bui ad altri felici, equamente distribuiti tra solisti, coro e orchestra. Superato un primo atto non particolarmente a fuoco, con vistose sbavature ritmiche in buca negli unisono infernali e altrettante in scena nel sincronismo dei crocchi delle streghe, le maestranze del Teatro si sono riscattate negli atti successivi, godendo della direzione di un Battistoni particolarmente felice nei momenti di maggiore slancio lirico.
Notevole la prestazione del coro in Patria oppressa e dell'orchestra nel preludio alla grande scena del sonnambulismo, mentre il gesto del giovane direttore ha portato a un'esecuzione più irruenta e meno efficace nelle pagine in cui si svela il moto demoniaco che anima la coppia infernale.
Guleghina e Gagnidze sbavano qua e là nel confronto con i tempi rapidi imposti nelle strette finali (fuori tempo il O potessi il mio delitto), riscattandosi però nelle grandi arie soliste, talvolta interrotte dagli applausi di un pubblico non numeroso ma entusiasta. Gagnidze ha voce robusta e di grande volume, anche se talvolta l'emissione risulta un po' ingolata. Guleghina è a suo agio con una parte impegnativa, spezzata, che enfatizza le sue qualità vocali nel canto spiegato e alcune debolezze quando la linea melodica sprofonda nel registro grave.
Ottima l'esecuzione di Ah, la paterna mano da parte di Rubens Pelizzari (Macduff) e di buon livello anche il Banco di Roberto Scandiuzzi. Applausi sentiti alla fine di ogni atto.
Matteo Paoletti