Hildegard Knef ROMY SCHNEIDER. IL RACCONTO APPASSIONATO DI UN MITO Gremese, Roma, Euro 12.00, pp. 157 Fisico di rara eleganza, volto di perfetta raffinatezza e leggiadria, quando era giovinetta, ma anche nei primi anni 50 (era nata a Vienna nel settembre 1938), benché figlia d'arte, padre brillante attore delle scene austriache e madre interprete di teatro e di cinema, Romy sembrava doversi limitare ai modi facili di un'adolescenza dorata, con picco nelle tre puntate dedicate alla principessina Sissi della Vienna asburgica. Ma poi erano sopravvenuti Visconti (Boccaccio 70 e Ludwig), Preminger (Il Cardinale), Bevilacqua (La califfa), Zulawsky (L'importante è amare), Sautet (E' simpatico ma gli romperei il muso e Una donna semplice), e ne avevano sommosso il gioco reattivo, esaltato la splendida vitalità, pur aggrappata e insieme intimidita accanto ai suoi partner, Alain Delon, Michel Piccoli, Bruno Ganz, e in succubo rovello coi mariti, prima Harry Meyen (ne venne il figlio David) e poi Daniel Biasini (loro figlia Sarah), ma sempre, per dirla con l'amica biografa Hildegard Knef, "creatura incostante, un tremendo fascio di sentimenti irrequieti". Della Schneider è ritratto morbido, crudo, affettuoso, dolente, quello che dalla sua angolatura di attrice e cantante tedesca, in sodale amicizia con Romy e il suo primo marito Meyen, ne fa la Knef, sulla base di incontri, confidenze, pagine di diario. Ne rifinisce la personalità quando non sia sul set con un fondo di autodistruttivo masochismo lungo un'esistenza quasi "maratona con un traguardo sconosciuto", che "ogni giorno passa dal trambusto degli studi a quello dei nightclub", comprensiva del sull'impicciona madre di Romy, sul perfido approfittatore Biasini, sullo psicanalista Helm Stierlin e le sue diagnosi di "una freddezza inumana, autocratica e vergognosa". Alberto Pesce |