di e con Cristiana Morganti
creazione, direzione, coreografia e interpretazione di Cristiana Morganti
collaborazione artistica di Gloria Paris, disegno luci di Laurent P. Berger
video Connie Prantera e consulenza muiscale di Kenij Takagi
produzione Il Funaro di Pistoia
al Piacenza, Teatro Gioia, 5 marzo 2015
Genova, Teatro dell'Archivolto 23 ottobre 2015
Cristiana si prende in giro, mettendoci a parte delle fatiche del mestiere di danzatore. Gli anni passano e il corpo non risponde più come prima; i piedi hanno bisogno di essere protetti, la schiena perde elasticità, la silhouette si allarga. In una scena esilarante ci appare la sua immagine sullo schermo a fondo palco mentre, con un pennarello nero, si colora i fianchi per snellire il punto vita.
Pina è presente in ogni gesto che Cristiana sdrammatizza e vuole rendere personale. L'eredità dell'artista tedesca, accogliente e allo stesso tempo ingombrante, trova il suo totem nelle grandi scarpe rosse col tacco che Cristiana indossa mentre percorre una lunga e lenta diagonale, la stessa "camminata piena di significato" di cui la sua voce si fa beffe all'inizio della performance. Cristiana arriva in fondo e si toglie le scarpe. Abbandona la madre e il suo corpo si svuota dell'energia che l'ha tenuta in equilibrio fino a quel momento. Un senso tangibile di release la svincola dall'ombra di Pina per camminare a piedi nudi sulla propria strada.
Ma abbandonare il nido è faticoso. Pina è presente anche nelle interviste che punteggiano lo spettacolo: Cristiana risponde alle domande di Jessica, suo alter ego, che escono fuori da un vecchio registratore a cassette. Come era Pina? Era severa e crudele come tutti dicono? Come può andare avanti il gruppo senza di lei? I giornalisti insidiosi e in cerca di sensazionalismo continuano a sbagliare il suo nome: Cristina, Tiziana. No, io sono Cristiana. Morganti si alza in piedi affermando la propria identità d'artista e si rivolge al pubblico in una deliziosa pantomima, che ricalca il linguaggio codificato del balletto classico. Volete che io danzi o volete che io parli? Ho danzato tanto, lasciatemi parlare, vi va?
La performance scorre tra il racconto di buffi aneddoti della sua formazione di danzatrice, prima e dopo il fatidico incontro con Pina, e momenti coreografici in cui godiamo della qualità del movimento di Cristiana. Una voce registrata annuncia in tedesco e in inglese i minuti che mancano all'inizio di una performance a Wuppertal. Una delle tante a cui Cristiana ha partecipato nella sua carriera di danzatrice. Mentre fuma una sigaretta, nel modo fiero ed elegante che le ha insegnato Pina, l'ampia gonna bianca che indossa va a fuoco con una proiezione di fiamme e fumo. Da quell'incendio nasce una fenice danzante che si muove libera sopra di lei.
Marianna Norese
Jessica and me è un divertente dietro le quinte dell'essere danzatrice, è un racconto ironico a tratti buffo di Cristiana Morganti sulla sua vocazione alla danza, testimonianza vera e poetica di una delle ballerine storiche del Tanztheater Wuppertal di Pina Baush. Detta così di una donna, non suona proprio bene. La storicità fa rima con vecchiaia, mentre Cristiana Morganti ha energia da vendere, voglia di trovare un suo percorso, grazie a Pina Bausch, ma prendendo le distanze anche dalla grande coreografa tedesca. Per questo parlare di Jessica and me vuol dire riferire non solo dello spettacolo ma anche del punto di vista della sua interprete, del lavoro che ha portato ad una performance che cerca di distanziarsi dalla lezione della Bausch ma alla fine, inevitabilmente, finisce col farvi riferimento. E' la stessa Cristiana Morganti che nel corso dell'incontro seguito allo spettacolo afferma: «Durante la lavorazione di Jessica and me è come se avessi avuto Pina sulla spalla, prima come un falchetto un po' opprimente, poi ho percepito il suo sguardo complice e tutto è andato via più morbido». E dopotutto nel racconto di danzatrice che Morganti intesse con l'intervistatrice al registratore che le offre il la per raccontarsi, l'esperienza con la Baush ritorna, ritorna nel raccontare le fatiche della danza, nel raccontare lo stupore di un movimento, nella costruzione dei momenti coreografici; è il necessario e inevitabile legame con un'esperienza formativa unica e indelebile. Il corpo di Cristiana si è plasmato sull'estetica del Tanztheater Wuppertal. E dopotutto lo stesso Jessica and me è l'evoluzione di un precedente lavoro che vedeva Morganti testimoniare la sua esperienza ventennale al fianco della Bausch. Se pure Cristiana Morganti dica di non aver voluto appositamente indossare costumi lunghi e morbidi che fanno molto modello Bausch, basta che la danzatrice si muova, bastano gli inserti danzati perché lei stessa – sicuramente involontariamente – finisca per assomigliare, evocare la figura di Pina Bausch. Il racconto verbale messo in atto da Cristiana Morganti è ironico, testimonianza biografica di un voler spiccare il volo al di là e dopo l'esperienza di Wuppertal, è un anelito al distacco con la paura e il timore di non essere, se non quell'esperienza. La parte coreografica di Jessica and me ha la forza e la potenza della scuola del Tannztheater, dimostra come il danzare di Cristiana Morganti sia energia pura, viva del respiro della Bausch senza scimmiottarlo, sia in ogni caso un segno di quella scuola, sia corpo plasmato, educato, formato e cresciuto con la forza della coreografa tedesca. E dopotutto non potrebbe essere altrimenti. Nel raccontare la sua storia, frammenti di una vita, Cristiana Morganti non nasconde quanto forte fosse la richiesta di Pina ai suoi danzatori, quanto il lavoro in sala, i materiali portati da ogni membro del Tanztheater Wuppertal costituissero materia che Pina Bausch contribuiva «a limare prima con le forbici, poi con le cesoie e in fine con la motosega – ha raccontato Cristiana Morganti -. Ciò che ti sembrava bello, impossibile da ignorare non trovava poi spazio, Pina Bausch ha sempre saputo tenere vivo il suo istinto, lei assemblava e allora, nelle ultime fasi del lavoro, usciva lo spettacolo, il disegno che lei aveva in mente e che noi avevamo contribuito a costruire a nutrire, inconsapevolmente». Ed è il miracolo della creatività, è lo sguardo di Pina distante e complice, è quel suo sorriso che Cristiana Morganti evoca e che alla fine mostra con inconsapevole mimetismo che rimangono impressi. Sono il suo muoversi a piedi nudi, l'utilizzo nervoso delle braccia, la precisione della postura che fanno di Jessica and me il racconto di un'artista come Cristiana Morganti in cerca di una sua identità artistica, in cerca di un suo essere sul palcoscenico e nel mondo, una ricerca faticosa, forse improba, che si traduce nell'eleganza di un abito bianco, nelle videoproiezioni, nell'ironia di un'intervista rilasciata a una giornalista un po' scema e che non ascolta la sua interlocutrice. In tutto questo apparato scenico – non ce ne voglia la simpatica, istintiva e coinvolgente Cristiana Morganti – ciò che rimane sono i suoi movimenti, il suo danzare, la sua bravura e quel corpo che porta inciso il segno del genio, la danza dell'anima inseguita per una vita da Pina Bausch e che Cristiana Morganti porta avanti nel semplicemente suo essere in scena. Eredità pesante e importante, come quella condivisa da figli nati da genitori illustri: privilegio e condanna di essere generati dal genio.
Nicola Arrigoni