sabato, 27 aprile, 2024
Sei qui: Home / Attualità / Spazio ai giovani / SPAZIO AI GIOVANI: Leggere il presente con 'gli occhiali' di Don Chisciotte. -La testimonianza di Riccardo Arrigoni

SPAZIO AI GIOVANI: Leggere il presente con 'gli occhiali' di Don Chisciotte. -La testimonianza di Riccardo Arrigoni

"Don Chisciotte ad ardere" del Teatro delle Albe. Foto Marco Caselli Nirmal. "Don Chisciotte ad ardere" del Teatro delle Albe. Foto Marco Caselli Nirmal.

Don Chisciotte ad ardere del Teatro delle Albe:

Per il secondo anno di fila mi trovo a commentare uno spettacolo del Teatro delle Albe, ancora a Ravenna, ancora realizzato da Ermanna Montanari e Marco Martinelli, ed ancora una volta è un’interpretazione moderna di un pilastro della letteratura: dopo la Commedia è il turno del don Chisciotte.
Lo spettacolo andato in scena il 5 luglio è il primo di una trilogia che continuerà nel 2024 e nel 2025 e si apre con il prologo di Ermanna, in versione maga, che parla agli spettatori, chiamati erranti, in una lingua inventata e a tratti simile all’italiano.
Dopo questo monologo stregato si aprono le porte di Palazzo Malagola e entriamo nel mondo dei sogni e della follia: cittadine che cuciono, uomini che scrivono i propri incubi su dei foglietti, e c’è anche chi disegna i suoi sogni sulle pareti: il tutto accompagnato da un canto che fa credere di essere entrati in un’altra dimensione.
Inizia poi, a gruppi di erranti, un giro delle stanze surreali del palazzo di Ravenna che vedono alternarsi, da stanza a stanza, scene inimmaginabili: la guerra è seguita dalla sirenetta, c’è una famiglia che mangia la minestra col coltello e guarda tre galline chiuse in una gabbia, e, dopo la stanza della macellaia e quella della bilancia, veniamo portati nel cortile dove ovviamente le stranezze non mancano: una su tutte la presenza di un uomo dalla barba folta e con un sigaro in mano che riporta alla mente Orson Welles e il suo Donchisciotte mai completato.
Dopo un altro discorso terrificante della strega e un ballo punk seicentesco dei cittadini di Ravenna, di nuovo partecipi di uno spettacolo della compagnia, entrano in scena i veri protagonisti del romanzo di Cervantes: il primo a prendere parola è l’eterno secondo Sancio Panza che spiega agli erranti come don Chisciotte l’abbia convinto a seguirlo nelle sue avventure e si pente di essersi fatto abbindolare. Successivamente Dulcinea spiega l’innamoramento di don Chisciotte nei suoi confronti e, infine, quest’ultimo recita la sua prima battuta: 
“Un cavaliere errante senza amore è un albero senza foglie,
né frutti, è un corpo senz’anima. È un morto che cammina.”

E da qui parte la sfida di don Chisciotte contro il mondo: in questa trasposizione l’eroe prima prova a sedurre il popolo di Ravenna, ma poi finisce per essere detestato perché non ha soldi per pagare la locanda. Prova a sedurre i carcerati che inizialmente lo ascoltano e si rivoltano al loro commissario, ma, mentre loda Dulcinea, gli ormai ex-detenuti, stanchi delle ritualità da romanzo, attaccano anche don Chisciotte.
A questa rivolta segue il monologo del mago Marcus, una delle parti che più ho apprezzato dello spettacolo, riguardante i sogni dei ragazzi di cambiare il mondo, di renderlo più giusto ed equo, ma che, per un motivo o per un altro, non si riescono a realizzare:
“Io l’avevo scritto nel foglietto 
mi ero consumato gli occhi a scriverlo, il mio foglietto
e notti e notti senza dormire
notti e notti a scriverne migliaia di foglietti
che l’acqua sarebbe zampillata da mille fontane
che la terra sarebbe diventata un giardino
che giustizia avrebbe trionfato
e anche tanti di voi l’avevano sognato, no?
Foglietti su foglietti su foglietti…
e invece?
Perché non ha funzionato?
Perché non mi è riuscita questa magia?”

Questo monologo è seguito dal discorso dei tre personaggi di Cervantes riguardante la guerra: Sancio e Dulcinea lo convincono a fare il suo “discorso sulla polvere da sparo” citando dei dati riguardanti il conflitto tra Russia e Ucraina; don Chisciotte ascolta mesto, incredulo del fatto che, a partire dalla sua tanto decantata polvere da sparo, si sia passati ai carri armati e alle armi nucleari.
Dopo un altro intervento di Marcus la palla passa al coro dei ragionevoli che bruciano i libri di Don Chisciotte: privando quest’ultimo di ciò che l’ha reso folle sperano rinsavisca, così il titolo, “Don Chisciotte ad ardere” prende significato: vengono messi al rogo libri di tutti i tipi, è un ripudio comune della cultura che non può che smuovere ogni errante:

CITTADINA: Cominciamo da questo, cominciamo da questo: “Il barone rampante” di Italo Calvino, uno svitato che sale su un albero e non vuole più scendere. Al rogo! 
CORO Al rogo! Al rogo
CITTADINA La meccanica del cuore di Mathias Malzieu. Non c’è il lieto fine!
CORO. Al rogo! Al rogo!
CITTADINO L’autore dei Fratelli Karamazov è un russo: anche solo per questo va bruciato, no? 
CORO Al rogo! Al rogo!

La stessa scena è toccata ai quattro Vangeli, accusati di stare dalla parte dei malformati, a “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore” e a molti altri volumi.
Quando Martina dalla locanda annuncia ai ragionevoli di aver trovato migliaia di altri libri quest’ultimi non aspettano altro che lei li butti giù per alimentare il fuoco ma, dopo un minuto di musica inquietante e fiaccole accese, interviene la strega Hermanita con il monologo che chiude la prima anta del progetto don Chisciotte.

“Si comincia sempre così, si comincia con quattro libretti, zitti zitti, un fiammiferino, uno zolfanello: la carta non fa rumore, brusar dieci libri che vuoi mai che sia?
La carta, ma chi la vuol più? La carta, nessuno protesterà, tanto al macero andrebbero quei volumi; tanto ve lo domando: chi legge? Chi ancora legge in questa età odiosa, così becera e mediopensante come quella che oggi viviamo? Nessuno protesterà! Ma voi, voi erranti, e voi, Don Chisciotte… Sancio… Dulcinea… voi non restate lì, fermi; Non fatevi sedurre!
Scapì, scapì intant ca putì, scapì in tal ter! Si comincia col bruciare la carta e si finisce per bruciare la carne! Si comincia con un rogo di libri e si finisce con un rogo di donne, uomini, bambini!”

Lavorare “per la felicità del genere umano” scrive Dante nella XIII epistola a Cangrande della Scala e credo che nessuna frase possa meglio descrivere il lavoro svolto da Marco e Ermanna in occasione di questo spettacolo. Una follia, se vista con l’occhio del capitalismo, che per il Teatro delle Albe è un onere che accettano volentieri.
In una mia visione molto brechtiana questo è ciò che deve fare il teatro: far riflettere e generare dubbi sul mondo in cui viviamo, e nessuno meglio del coro dei ragionevoli e di don Chisciotte può crearci dilemmi.
Se i ragionevoli lo hanno nel nome ciò che rappresentano, la figura di don Chisciotte è tutt’altro che ben definita: deriso e preso a bastonate, ma paladino di creatività che, errando, va alla ricerca del giusto e del vero contro tutto e tutti.
Così lo spettacolo ribalta le parti: si entra a Palazzo Malagola credendo che il folle sia don Chisciotte e si esce stupiti e innamorati della cultura, della lettura e degli insegnamenti che il protagonista cerca di dare, ma davanti ai quali siamo sordi; mentre coloro che inizialmente erano “i buoni” passano nel torto, senza mai fare i cattivi volontariamente, ma facendo soltanto la parte dell’uomo del ventunesimo secolo: bruciando libri e seguendo la massa, senza più riflettere di testa propria.
A riassumere il senso di questo viaggio fantastico ci pensa Hermanita che, con il suo linguaggio un po’ infantile e un po’ dialettale, ci riapre le orecchie e ci mette davanti alla realtà citando la storia e riflettendo sull’importanza della lettura.
Le corde che tocca il don Chisciotte di Marco e Ermanna non sono solo quelle già citate, ma anche quelli della politica e del capitalismo: perché ci viene ricordato da Dulcinea e Sancio Panza che ciò che conta ormai sono solo i numeri: i numeri dei panzer, dei carri armati, dei kalashnikov, armi date per scontate che non lasciano spazio al discorso sulla polvere da sparo del protagonista, poiché gli insegnamenti morali, nell’epoca in cui a governare non è la politica ma è il denaro, non sono ben accetti.
In un’economia che lavora sempre meno per la felicità del genere umano e sempre di più per attirare la nostra attenzione e mercificarci, don Chisciotte è una splendida irregolarità che punta a svegliare gli erranti da questo incubo chiamato dal filosofo Galimberti “età della tecnica”.
Ciò che più mi ha colpito e toccato è stato però il discorso di Marco Martinelli sui sogni che ogni notte facciamo e che puntualmente la mattina scordiamo: dove vanno a finire quei sogni? E i sogni di un mondo migliore, di uguaglianza, di giustizia; perché non si sono realizzati? Le nostre speranze non si sono avverate, come se ci fosse un malvagio stregone a vietarle; “perché non mi è riuscita questa magia?” si chiede il mago Marcus, e così si conclude il suo monologo.
Ascoltare le sue parole mi ha svegliato, come quando nel sonno ti sembra di star precipitando e riapri gli occhi di colpo; sentire pensieri così profondi e che compio così spesso da una persona che non sono io mi ha scioccato e mi ha catapultato di nuovo nel mondo reale, dopo quasi un’ora nel mondo dei sogni di don Chisciotte. Sentire in un’ora e mezza così tanti insegnamenti su cui io rifletto regolarmente, ma che mi pare interessino a poche altre persone, ha riacceso una luce che si stava spegnendo: la speranza che ci siano erranti come me e come Marco che si oppongano a ingiustizie, disuguaglianze e mercificazione, riportando in voga i valori e l’importanza della lettura, della cultura e del ragionamento, poiché solo declinando questi tre aspetti verso il bene comune si riuscirà a realizzare il mondo che io e Marco abbiamo ammirato nei nostri sogni.
Sarebbero tanti altri gli aspetti che meriterebbero uno sguardo più completo: il coinvolgimento del popolo di Ravenna è uno di questi. Persone di tutte le età che si offrono volontarie probabilmente per ritagliarsi uno spazio personale in cui esprimere chi sono realmente e per condividere un’esperienza che restituisce loro il piacere di lavorare in gruppo: in un mondo che più va avanti meno ti permette di essere te stesso ogni occasione di svago è un’opportunità imperdibile.
Il significato allegorico delle varie stanze di Palazzo Malagola e i dialoghi di don Chisciotte con le locandiere e con i carcerati sono tematiche importanti; ma mi sono sentito di evidenziarne e approfondirne solo alcune poiché sono quelle che più mi hanno toccato e mi hanno permesso di riflettere.
Ringrazio infinitamente il Teatro delle Albe per quello che mi ha fatto vivere e sono sicuro che porterò sempre con me questa opera come stimolo per non stancarmi mai di imparare e di riflettere, con sguardo critico, sui problemi del mondo che mi circonda, nella speranza che un giorno questo pensiero accomuni sempre più erranti.

Riccardo Arrigoni

Ultima modifica il Mercoledì, 04 Ottobre 2023 20:01

Iscriviti a Sipario Theatre Club

Il primo e unico Theatre Club italiano che ti dà diritto a ricevere importanti sconti, riservati in esclusiva ai suoi iscritti. L'iscrizione a Sipario Theatre Club è gratuita!

About Us

Abbiamo sempre scritto di teatro: sulla carta, dal 1946, sul web, dal 1997, con l'unico scopo di fare e dare cultura. Leggi la nostra storia

Get in touch

  • SIPARIO via Garigliano 8, 20159 Milano MI, Italy
  • +39 02 31055088

Questo sito utilizza cookie propri e si riserva di utilizzare anche cookie di terze parti per garantire la funzionalità del sito e per tenere conto delle scelte di navigazione. Per maggiori dettagli e sapere come negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie è possibile consultare la cookie policy. Accedendo a un qualunque elemento sottostante questo banner si acconsente all'uso dei cookie.

Per saperne di più clicca qui.