giovedì, 02 maggio, 2024
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In viaggio verso Emerald fra stupore e bellezza. Biennale Teatro premia con i Leoni Armando Punzo e FC Bergman. -di Nicola Arrigoni

"The Land of Nod", del collettivo FC Bergman "The Land of Nod", del collettivo FC Bergman

Hanno le scarpe nuovissime, che luccicano: in carcere le scarpe non servono. È questo quasi l’unico segno distintivo — se così si può dire — che balza all’occhio e fa ‘individuare’ gli attori/detenuti di Armando Punzo sulla terrazza di Palazzo Giustinian dopo la cerimonia che ha premiato i vincitori del Leone d’Oro e d’Argento, nell’edizione di Biennale Teatro 2023 contraddistinta dal colore verde e dal termine Emerald. Emerald il luogo dei prodigi del Paese di Oz, Emerald è un paio di scarpe nuove, come le scarpette rosse di Dorothy Gale. È da qui che piace partire per raccontare i due Leoni assegnati da Biennale Teatro ad Armando Punzo con la Compagnia della Fortezza e al collettivo FC Bergman, rispettivamente Leone d’Oro e Leone d’Argento, l’uno alla carriera, l’altro – si crede di poter intuire – alla feconda immaginazione di un gruppo di artisti consolidati, visionari che incarnano la potenza iconica di un teatro di pensiero. Emerald è questo: è la città del possibile, è il verde dello smeraldo, Emerald è semplicemente il teatro, la sua faccia prismatica che riflette ciò che siamo, ma offre, anche, la rifrazione di ciò che non vorremmo essere e di ciò che teniamo nascosto. 

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Questo è quanto fa Armando Punzo: ci disvela dal chiuso del carcere di Volterra la fragilità dell’uomo, ma anche la sua potenza creativa che sa coniugarsi nel noi del dialogo con l’altro. Ed infatti – sempre dalla terrazza di Palazzo Giustinian – la Compagnia della Fortezza è non solo una compagnia, ma sa essere una grande comunità, una famiglia. Ad un certo punto uno degli attori-carcerati dice: «Armando ci chiama». Questo richiamo ha qualcosa di irresistibile per cui tutti si radunano intorno al maestro, al loro Cotrone, in ascolto della parola del poeta/demiurgo di sogni possibili oltre le sbarre. Punzo è da 35 anni il mago che nel carcere di Volterra ha costruito spazi di libertà, ha indagato la fragilità dell’essere umano, attraverso chi è condannato a incarnare la colpa, spesso anche al di là del riscatto nei termini assegnati dalla legge. 

La Biennale Teatro ha voluto premiare Punzo e il suo teatro che apre i confini della mente e del cuore, che sa guardare oltre e ci chiede di interrogare l’autentico che è in noi, lo sguardo che sorride dell’altro. Ed è quanto accade in Naturae, abbacinante e splendente spettacolo visivo e poetico della Compagnia della Fortezza che ha aperto la kermesse veneziana, diretta da Ricci/Forte, in cui Punzo è Prospero, è colui che ci regala la possibilità di visioni antiche e nuove che sono respiro di pura poesia. E nella motivazione del Leone d’Oro, letta dai direttori artistici Stefano Ricci e Gianni Forte c’è la fede nel teatro che trasforma: «In un Paese che ha difficoltà a fare i conti con i diritti umani, dove Fratellanza, Amore, Solidarietà si sbriciolano come pastafrolla, Armando Punzo – nel tentativo di comunicare, mediante l’isolamento artistico e geografico, il carcere e i suoi confini, spinto dalla necessità di affermare una propria originale identità d’autore lontana dalla frizione delle mode, in assenza di libertà, senza alcuna genuflessione al potere ed erigendo ponti a strapiombo sul prosaico mondo borghese – si avventura in territori in perpetua torsione da tutto il resto, forza le barriere, frantuma gli assiomi e da sapiente orafo dei linguaggi, attraverso il Teatro, comincia a setacciarli per filtrare un nuovo uomo che, divenuto rigogliosa mietitura, si rialza con sfida e coraggio nelle ginocchia, imponendosi daccapo alla realtà». 

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Queste parole trovano assoluta corrispondenza in Naturae, una sorta di disegno immaginato e immaginario, su un tappeto di sale bianco in cui si stagliano figure colorate, si stagliano i simboli della cultura occidentale, le forme geometriche della razionalità euclidea, ma anche la ritualità di certo oriente che coglie nei piccoli gesti l’immensità del creato. Cosa accade su quel tappeto di sale bianchissimo? Accade che corpi modellati e interroganti disegnano incontri inauditi sul crinale del tempo, accade che un punto rosso sul foglio bianco dialoghi con gli infiniti altri punti di un segmento, ovvero con la diversità degli uomini, la loro bellezza e le loro fragilità, Punzo nei panni di una sorta di regista interno – viene in mente Kantor che muove i suoi attori – fa agire  il racconto, un racconto fatto di sguardi e di sorrisi scambianti e incrociati. Gli sguardi degli attori incrociano quelli degli spettatori e accade qualcosa, si crea un legame, una relazione che fa sì che ciò che accade in scena, quella festa di colori e di possibilità di stare ed essere ci appartenga, si percepisca come intimamente nostra. Naturae è un inno alla possibilità di trovare e ritrovarsi nel mondo, è un inno a una libertà d’agire di muoversi che non chiede di essere narrata o descritta, ma solo di essere vissuta. E alla fine si esce tutti più leggeri, abbagliati dal bianco del sale di Volterra macchiato da colori accesi: rosso, blu, giallo, in un action painting teatrale che rimane impressa negli occhi e nel cuore. 

Se con Naturae Armando Punzo propone una sorta di speranzosa armonia che si nutre dello scambio di sguardi e va in cerca di una nuova natura che possa redimere laicamente l’umanità dalla solitudine e dall’individualismo disperato e disperante, di tutt’altra temperatura è la proposta del collettivo FC Bergman che «partendo da semplici pretesti di una realtà fattuale e sublimandola poi a livello metaforico, si focalizza sul carattere tragico dell’Uomo, una sorta di pizia che presagisce il crollo imminente di questo mondo in cui cerca disperatamente il suo posto e che, non più soddisfatto di sé stesso, combatte tra la paura di un cambiamento e il desiderio esistenziale di trascendere i propri perimetri per un viscerale bisogno di libertà», si legge nella motivazione per il Leone d’Argento. Quanto accade in The Land of Nod racconta di questa necessità di trascendere i propri parametri. In un capannone del porto Marghera  FC Bergman hanno ricostruito in scala uno a uno la galleria Rubens del Museo Reale di Belle Arti di Anversa con una enorme Crocifissione di Rubens alla parete. Che cosa succede in quello spazio che sembra schiacciare le figure umane, in cui si muovono svogliati custodi, in cui si cerca di portar via l’enorme tela, forse per un restauro? O forse si stratta di un furto per il solo piacere di godersi a lume di candela quel capolavoro? Che cosa succede, se ad un certo punto, un uomo si spoglia e rimane nudo seduto davanti alla grande tela? Che cosa succede se l’uomo con un metro troppo corto per misurare la Crocifissione, rimane appeso perché la scala è instabile e finisce, poi, col demolire la sala pur di portar via il quadro di Rubens? Che cosa succede se una donna sviene davanti all’opera e incuranti due turisti coreani si fanno un selfie? Succede che quella terra – il museo sospeso nel tempo – è la terra di Nod, la terra in cui Caino, condannato da Dio ad essere nomade, approda e dove genererà la sua discendenza. Succede che quella sala per metonimia sia il mondo intero, succede che lo scandire delle stagioni sia legato a una figura di uomo in frac che fa cadere foglie, neve. Può succedere che l’estate sia un’improvvisata spiaggia con tanto di tenda. Succede che la natura nomade dei figli di Caino possa avere la leggerezza di una corsa, come quella dei protagonisti di Bande à part di Jean Luc Godard all'intero del museo del Louvre per visitarlo in meno di 9 minuti e 45 secondi.

I performer di FC Bergman danno vita a uno spettacolo di rara intensità, in cui le azioni sono bombe che fanno esplodere pensieri, in cui ciò che accade ha una sua potenza e bellezza che lasciano senza parole. Ci si commuove e si ride: i segni testuali si sommano c’è la Venere degli stracci di Pistoletto, ma anche Willie il Coyote, c’è il grande cinema di Godard e c’è l’omaggio coreutico a Pina Bausch, ma soprattutto c’è la determinazione dell’uomo a perseguire i suoi obiettivi, anche quando questi finiscono col distruggere il mondo, anche quando il volersi impossessare della Crocifissione di Rubens diventa un chiodo fisso a cui tutto si sacrifica, anche lo stesso museo, anche lo stesso mondo, distrutto dalle guerre e dalla violenza dell’uomo. E allora The Land of Nod è un capolavoro che lascia senza fiato, è uno di quegli spettacoli destinati a tornare nella memoria, a disvelarsi lungo il crinale del tempo, non foss’altro che per riassaporare la leggerezza inquietante di artisti che sono veri funamboli di bellezza. 

Ultima modifica il Martedì, 18 Luglio 2023 22:34

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