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TOTEM SCENE URBANE | I luoghi del teatro X edizione -di Franco Acquaviva

TOTEM SCENE URBANE | I luoghi del teatro
X edizione
a cura del Teatro Nucleo
9-13 settembre. Ferrara-Pontelagoscuro

Visitato il 10 settembre 2022

Totem è il festival che il Teatro Nucleo ha innestato da ormai dieci anni nell’ampio territorio che costeggia il Po, appena fuori Ferrara, in un quartiere dal nome crepuscolare e vellutato di Pontelagoscuro. Il teatro della storica compagnia argentina è collocato sul limitare di un parco dal quale si accede all’argine del grande fiume. Un luogo degno di un romanzo di Bassani o di un film di Antonioni (che infatti un film qui lo girò, “Il grido”, negli anni ‘50). Qui come in molte periferie italiane i problemi e le contraddizioni della contemporaneità si decantano e manifestano peculiarmente. Non è un caso che a livello nazionale, un po’ dappertutto, fiocchino bandi per intervenire in questi ambienti urbani con la cultura e il teatro. Se questi progetti portano un effettivo beneficio esso non sempre si misura in termini numerici. O meglio, se di numeri bisogna parlare, allora si deve considerare un intervallo lungo, una curva di eventi che si protragga per un certo periodo. Certo, poi ci sono gli accidenti della vita e della Storia. E l’accidente più grosso, lo sappiamo, è stata la pandemia del 2020-21, i cui effetti continuano a rodere le basi della progettazione dei teatri. Si parla un po’ ovunque di un calo del pubblico: in Piemonte, in Lombardia, in Emilia. E nel tentativo di approntare strategie per invertire questa tendenza spesso ci si serve del concetto-chiave di “innovazione” come di qualcosa che dovrebbe contribuire a cambiare le cose. Ma il termine rimane ambiguo, potendo significare anche soltanto un allinearsi alle mode per le quali è più importante il concetto-brand che una seria analisi con prassi conseguente. Tuttavia se innovazione può voler dire anche applicare strategie di prossimità al rapporto con gli spettatori, ecco che un festival può molto in questo senso. Così i dieci anni di vita di Totem sono un traguardo importante. Nel racconto che ci fanno Natasha Czertok, Marco Luciano e lo storico fondatore del Nucleo Horatio Czertok, emerge il valore di un lavoro che si pone il problema del pubblico come una questione di relazione con ogni singolo spettatore, nel tentativo di scardinare gli automatismi del rapporto canonico con il teatro – e che adombra e contiene una questione più importante: e cioè quella di una relazione tra esseri umani che sia costruttiva, creativa. E’ un interrogare anche le possibilità di memoria e presa di coscienza degli abitanti di un quartiere che a partire dalle distruzioni subite nell’ultima guerra ha vissuto varie fasi, tra cui quella Ricostruzione materiale (anche all’ombra della Montedison, negli anni ’60) che dà il nome alla via in cui sorge il teatro e che si può veder tralucere – come Ricostruzione sociale e umana – da un altro progetto importante del Nucleo: quel laboratorio di teatro comunitario in cui per anni è stata impegnata la popolazione del quartiere. A ciò si aggiunga il pluriennale lavoro con i detenuti del carcere di Ferrara, in un ostinato interrogare la condizione limite di chi è privato della libertà personale per una ricostruzione di sé anche attraverso il teatro. Il festival ha visto un proliferare di iniziative ribattute tra la sala (intitolata a Julio Cortazar) e il parco antistante. Laboratori teatrali, ma anche musicali, di fumetto, presentazione di libri, spettacoli di strada (di cui il Nucleo è stato ed è tuttora maestro). Non possiamo restituire un racconto di tutta la programmazione, ci limiteremo alla sola giornata che ci ha visto presenti, segnalando il lavoro di Drammateatro. Una giovanissima attrice (ventitreenne), Rebecca Di Renzo, alle prese con un testo di Stefano Benni, “Vecchiaccia”, per la regia di Claudio Di Scanno. Una presenza attoriale piena, quella della Di Renzo, condotta al limite delle possibilità vocali; un corpo addestrato e leggero, capace di vibrare fin quasi al parossismo e di lasciarsi scorrere via. Una capacità di sentire il corpo della vecchiaia, di analizzarlo con il bisturi della danza e del training fisico (questo misconosciuto!), restituendolo senza alcun autocompiacimento formale. Con esiti che in certi momenti (specie nel finale) sembrano costeggiare la danza Butoh. Un’impresa attoriale condotta sul filo di un dire ben scolpito nel profondo gorgo di una caverna vocale, che scava nel corpo senza prestarsi in alcun modo alla tentazione così diffusa di usare il testo come trampolino per un teatro della chiacchiera.

Franco Acquaviva

Ultima modifica il Sabato, 17 Settembre 2022 08:40

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