Mattia Santini si è formato alla Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala di Milano (2009-2013), al San Francisco Ballet School (2013-2016) e all’American Ballet Theatre Studio Company (2016-2017). Ha vinto la Medaglia d’oro alla “World Dance Cup” di Bucarest nel 2014. Nel 2019 è stato selezionato per partecipare alla XIII edizione del Concorso Internazionale “The Erik Bruhn Prize”. Dal 2017 ad oggi lavora nel corpo di ballo del “Royal Danish Ballet” di Copenhagen.
Gentile Mattia, cosa rende speciale il corpo di ballo del Royal Danish?
La nostra compagnia è speciale perché siamo molto uniti. Ci consideriamo una grande famiglia e ci sosteniamo a vicenda nell’affrontare le difficoltà sia lavorative che personali.
Quali sono i maggiori insegnamenti ricevuti dal Direttore Nikolaj Hübbe?
Il Direttore Hübbe è una persona particolarmente disponibile e sempre pronta a consigliarmi nel proseguire al meglio la mia carriera, mi ha insegnato ad avere più fiducia in me stesso e a credere maggiormente nelle mie capacità.
Quali ritieni siano i suoi punti di forza vincenti?
Sicuramente ad incoraggiare per fare sempre meglio, differenziando i punti di forza di ogni singolo ballerino.
Come ti accosti all’interiorizzazione dei ruoli da sostenere in scena?
Questo è difficile da spiegare, è una situazione emotiva personale e spontanea ma è sempre un’opportunità fantastica perché puoi essere chiunque, in qualsiasi periodo storico e in caso di balletti moderni ti puoi trasformare mentalmente in un’altra entità.
Qual è stato il percorso che ti ha portato fino a Copenaghen in una delle compagnie di balletto più rinomate al mondo?
Ho frequentato fino al quarto corso l’Accademia del Teatro alla Scala, poi a quattordici anni dopo il summer program alla “San Francisco Ballet School” mi hanno generosamente offerto una borsa di studio per rimanere. A diciassette anni ho fatto un altro summer program presso l’“American Ballet Theatre” e mi hanno proposto di rimanere nel loro programma pre-professional che si chiama “Studio Company”. Dopo un fantastico anno di preparazione sono stato contattato dalla “Royal Danish Ballet” per un contratto da corpo di ballo, e ho accettato senza esitazioni.
Tra i maestri dei tuoi inizi, da bambino, chi ricordi e quando ti sei accorto che tra te e la danza era scoccata la scintilla?
Il Maestro Paolo Podini è stato un grandissimo insegnante proprio ai miei inizi e grazie a lui fin da subito è scoccata la scintilla. Sapevo che questa strada era il mio destino e non vedevo l’ora di proseguire nutrendo una passione così grande, che cresceva ad ogni lezione, prova o spettacolo.
Raccontami gli anni trascorsi alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala, qual è stato il momento più bello?
Ricordo in particolare la partecipazione ai balletti con il corpo di ballo scaligero e quelle alle diverse opere del Teatro alla Scala. Ho preso parte ad Aida ed è stata un’emozione indescrivibile. Inoltre desidero ricordare lo spettacolo Immemoria nel programma Trittico Novecento con la coreografia del meraviglioso Francesco Ventriglia.
Mentre alla San Francisco Ballet School?
Il momento più difficile è stato l’inizio in una realtà diversa dall’Italia, la lingua che conoscevo solo a livello scolastico, il cambio di abitudini. Il momento più bello è stato quello di aver vissuto insieme a tanti ragazzi provenienti da tutto il mondo che erano nella mia stessa situazione. Cucinare insieme, le serate a guardare i film, lo stretching in casa prima di andare a dormire.
E all’American Ballet Theatre Studio Company?
L’attimo più entusiasmante è stato incontrare Roberto Bolle e Alessandra Ferri nella palestra del teatro a fare stretching quando io ero lì a fare lo stesso, ricordo di essere rimasto senza parole nel vedere due stelle mondiali della danza nella stessa struttura. Il momento più difficile è stata la non ammissione in qualità di Apprendista nella compagnia, era di sicuro un goal che volevo conquistare, ma sinceramente senza il rifiuto di questa opportunità non sarei mai dove sono ora, una porta si chiude ma se ne aprono due e bisogna come si dice in inglese “trust the process”.
Cosa ti piace ripensare del giorno del Diploma?
Non ho mai avuto un giorno del Diploma ma sono molto felice di avere avuto numerose esperienze in scuole diverse che mi hanno fatto crescere sia a livello artistico che umano.
La tua prima volta in assoluto in palcoscenico nelle vesti di danzatore professionista con cosa è avvenuto e in quale teatro?
La mia priva volta risale al 2017 presso il “Royal Danish Theatre” di Copenaghen. Si trattava di uno spettacolo a serata mista con coreografie di Kylian. Ho avuto la meravigliosa opportunità di ballare Symphony of Psalms e Sarabande. La ricordo come una serata davvero magica, nel primo pezzo ho danzato con una mia ex compagna della Scuola di Ballo del Teatro alla Scala, quindi è stato un momento “full circle”. Mentre il secondo pezzo ha coinciso con il mio debutto in un ruolo da Solista.
Come hai convissuto con la solitudine, intesa come lontananza da casa e dagli affetti?
Di sicuro è stato davvero molto difficile, anche perché ero ancora piccolo, avendo appena iniziato l’adolescenza. La cosa che mi ha aiutato di più è stata la vicinanza dei miei compagni e colleghi e ovviamente le telefonate e video-chiamate con la mia famiglia. Nel primo periodo chiamavo anche dieci volte al giorno, come mia mamma mi ha sempre detto, non importava l’ora del giorno anche per la differenza di fuso orario, potevo chiamare quando avevo bisogno. La mia famiglia è stata di grande supporto ed è venuta a trovarmi molte volte l’anno, in tutte le città in cui ho vissuto.
Come è recepita la danza in Danimarca dal pubblico ma anche dalle Istituzioni e dalla famiglia Reale?
Il pubblico in Danimarca è meraviglioso, la cultura è sinceramente rispettata e tutti tre i teatri presenti a Copenaghen sono sempre pieni o quasi. Il pubblico è formato da ogni età, e i giovani sono molto interessati, grazie anche all’input dato dalle scuole locali. Abbiamo tanti spettacoli dedicati e riservati solamente ad un pubblico di scuole distribuiti in più occasioni durante l’anno. La Famiglia Reale è molto presente. In diverse occasioni vengono a vedere i nostri balletti e in qualche caso ritornano più volte per la stessa produzione. La Regina Margrethe ha trovato la nostra Lady of the Camellias di John Neumeier meravigliosa ed ha assistito a ben sei spettacoli di fila.
Come vivi il momento prima di entrare in scena e quali emozioni ti trasmettono gli applausi finali?
Non importa se è il mio primo spettacolo o il mio centesimo, ma ogni volta prima di entrare in scena ho sempre l’adrenalina a mille, ovviamente anche la paura di sbagliare qualche passo o di non offrire una ottima performance. Ma appena sono sotto le luci e davanti al pubblico tutto svanisce e sono solo io che condivido questa grande passione con le persone presenti. Quando esco per gli applausi finali nutro un senso di assoluta compiutezza, sono emozionato e al settimo cielo. Cerco costantemente di guardare e girarmi verso ogni angolo del teatro per fare il mio inchino raggiungendo con lo sguardo ogni spettatore. In quel momento mi sento davvero grato per l’opportunità di svolgere una professione da sogno.
Oltre alla danza che è diventato il tuo lavoro quali altre passioni nutri nella quotidianità e nei momenti liberi?
Ho parecchie passioni al di fuori di questa meravigliosa professione. Cucinare mi piace moltissimo e cerco sempre di migliorare e provare ricette nuove. Amo il canto, uno dei miei sogni in futuro è di cantare e danzare a Broadway, quindi mi sto applicando al meglio per le lezioni di canto professionale. Leggere è un’altra bella necessità, non importa il genere di libro o autore, l’importante è avere sempre con me un libro. Mi piace imparare e osservare a trecentosessanta gradi per crescere come ballerino e come persona.
A quale ruolo sei più affezionato, tra tutti quelli sostenuti fino ad oggi?
Sicuramente a quello del giullare nel Lago dei Cigni. Questo balletto è il mio preferito ed è stato anche il ruolo che mi ha fatto crescere come artista. Ricordo che quando avevo solo dieci anni mia mamma aveva acquistato un dvd del Lago al Teatro alla Scala, con Roberto Bolle e Svetlana Zakharova. Ho sognato davvero tanto guardandolo una cinquantina di volte, il mio desiderio era impersonare il principe però mi aveva particolarmente colpito il ruolo del giullare interpretato dal primo ballerino Antonino Sutera. Non mi sarei mai immaginato che un domani sarei stato io a ballarlo in un teatro prestigioso in qualità di danzatore professionista.
Secondo te qual è la dote che non può mancare ad un ballerino?
Si parla sempre di doti fisiche nel mondo tersicoreo, senza dubbio sono importanti, ma quelle più grandi per un ballerino sono l’umiltà, l’onestà e l’umanità. La danza deve esprimere gioia e autenticità, non è un circo e deve venire proprio dall’anima.
Visto dall’interno com’è il mondo della danza?
Sinceramente è molto diverso da come tutti lo pensano dall’esterno. Ogni volta che dico che sono un ballerino la gente rimane stupita. Dall’interno considero questo mondo come una grande famiglia, che condivide gli stessi valori e una incredibile passione.
Lo spettacolo di danza che ricordi come il più emozionante al quale hai assistito fino ad oggi come spettatore?
Lo spettacolo più emozionante è stato Coppélia al Teatro alla Scala. Il primissimo spettacolo al quale ho assistito. Avevo otto anni e ricordo perfettamente tutti i dettagli di quella meravigliosa serata. La mia insegnante di danza, Cinzia Puricelli, aveva portato me e i miei compagni della scuola Proscaenium di Gallarate a Milano, la grande città dei sogni come la chiamavo io, al Teatro alla Scala come sorpresa. La mia sensazione fu quella di vivere in uno stato etereo. Non ci sono davvero parole per descrivere quell’esperienza.
Cos’è per te la perfezione?
La perfezione è molto difficile da spiegare. Quando ho iniziato la carriera la perfezione per me era la tecnica, come eseguivo i passi, quanti giri potevo fare o quanto la mia gamba fosse alta nell’Adagio. Quanto mi sbagliavo, perché più si ha esperienza e più si cresce si impara una maniera completamente diversa di percepire cosa la perfezione sia. Personalmente penso sia il ballare dall’anima, l’interpretare un ruolo non pensando ai passi ma immergendosi nel ruolo completamente, trasformandosi in una persona completamente diversa, senza pensieri o paure. Questa per me è la perfezione.
Come sono strutturate le tue giornate di studio al Teatro Reale?
La giornata inizia sempre alle 10:00 di mattina, con la lezione di riscaldamento per tutta la compagnia. Dalle 11:40 alle 16:00 ci sono le prove e molte volte possono continuare fino alle 18:15, dipende da quante produzioni dobbiamo imparare. Studiamo anche il sabato e certe volte alla domenica, ma abbiamo comunque un giorno libero la settimana. La pausa pranzo è di 45 minuti e abbiamo la fortuna di avere una mensa meravigliosa, quindi ci si sente proprio come a casa. Spesso se rimane del tempo nella giornata, mi fermo al quinto piano nella palestra per lavorare con i fisioterapisti, perché la prevenzione degli infortuni è fondamentale.
Hai un mito della danza al quale ti ispiri?
Mi ispiro moltissimo a Massimo Murru, un étoile che per me è davvero l’apice di quello che io definisca perfezione.
Con quale coreografo ti piacerebbe lavorare e con quale ballerina vorresti fare coppia in palcoscenico?
Il coreografo con cui mi piacerebbe lavorare è William Forsythe, mentre la ballerina senza ombra di dubbio è Marianela Nuñez.
Il pensiero della danza, in senso lato, cosa ti ispira?
Certamente che è immortale. Il bisogno di essa porta con sé emozione ed essenza di vita. C’è stata in passato e ci sarà in futuro. Ballando mi sento come se fossi parte della Storia stessa.
Michele Olivieri