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ULISSE, MACERATA - regia Luigi Moretti

"Ulisse, Macerata", diretto e interpretato da Luigi Moretti "Ulisse, Macerata", diretto e interpretato da Luigi Moretti

Di Fiammetta Carena
Diretto e interpretato da Luigi Moretti
Musiche Paolo Principi
Luci Francesco Mentonelli. Scena Guerrino Andreani
Costumi Stefania Cempini. Assistente alla regia Adriana Formato
Studio di registrazione Punctus. Foto di scena Rodolfo Marziali
Video Matteo Giacchella. Produzione Compagnia del Sole
Organizzazione Dario Giliberti. Comunicazione Marilù Ursi. Amministrazione Lucia di Mauro
Teatro Tordinona, Roma dal 25 al 30 aprile 2024

www.Sipario.it, 27 aprile 2024

È una Itaca molto 'casareccia' ma altrettanto, se non più dolorosamente, tragica quella che Fiammetta Carena ci mostra in questa sua drammaturgia non recente (è del 2019) ma straordinariamente attuale, come straordinariamente dell'oggi si conferma l'antica vicenda Omerica di quella guerra e di quel dopo-guerra di millenni fa, metafora di una “Frontiera” tante volte da allora ri-visitata e su cui si affaccia lo sguardo verso l'ignoto, carne della stessa vita.

Ulisse, Macerata è un monologo ricchissimo di personaggi che vi precipitano, quasi ad enfatizzare un mondo di uomini e donne che continuano a combattere guerre avendo perduto il senso, metafisico ed esistenziale, od anche in senso molto lato 'religioso', del nostro esistere, ormai appunto un vuoto pneumatico che ci attira come marionette che ripetono un copione che non 'sanno' più.

Infatti, mentre il linguaggio della drammaturgia si fa violento, duro, dolorosamente volgare, quella guerra lontana e metaforica si fa banale partita di calcio (Macerata-Troia ovviamente) cui il nostro protagonista assiste e da cui prendono le mosse le sue 'avventure', assai poco dantesche infarcite come sono di schemi, luoghi comuni e comportamenti indotti cui non è capace di porre alcun freno dignitosamente 'etico'.

Il racconto omerico offre così alla drammaturgia nomi e occasioni che segnano il viaggio di entrambi gli Ulisse, ma poco altro, essendosi il senso di sé e della propria dignità talmente impoverito da non offrire quasi più occasioni di riscatto, se non nelle brevi pause liriche che interrompono a volte, insieme a significativi e ben miscelati rimandi a 'detti' comuni, l'ossessivo reiterare autolesionistico.

Continuiamo a dover fare i conti con Ulisse, dunque, anche dopo più di duemila anni, e spesso quegli stessi sforzi per trasfigurarlo, e trasfiguarsi, crescendo in consapevolezza, dell'uomo e della donna, devono rendere ragione a quel residuo di ignoranza, violento, volgare e aggressivo di cui sembra non riusciamo a liberarci.

Ma forse non si tratta tanto di 'noi' e di 'loro', come talvolta un po' semplicisticamente si tende a pensare, ma soprattutto di capire quanto di 'loro', di questa faccia violenta e volgare, è dentro di noi, al di là dei negativi mutamenti sociali, sotto gli occhi di tutti, di questi ultimi anni, ma guardando a quel decadimento antropologico e anche metafisico che la drammaturgia di Fiammetta Carena teme e denuncia.

Un residuo che anzi, al contrario, viene oggi più di ieri politicamente solleticato e sollecitato a fini di potere, nella vita pubblica ed in quella privata, anche con la persistente svalorizzazione del femminile alla base di tanti eventi tragici.

Una femmina scissa nella mente di questo Ulisse tra sesso privo di gioia e maternità rifugio di una stato infantile mai superato, come mostra chiaramente la revisione dell'incontro di Odisseo con la madre nell'Ade.

Una scrittura, quella di Fiammetta Carena, che sa, al riguardo, amalgamare con sapienza, insieme a un quasi dolente e ingenuo 'stupore', linguaggio alto e linguaggio basso, slanci lirici e cadute materiche nella, a volte addirittura abbietta, fisicità virtuale dei nostri tempi.

È inoltre un testo ben predisposto nella sua stessa struttura linguistica al transito scenico, trovando nella parola detta in scena riverberi di nuova profondità e significatività che quasi aiutano a districarci tra le molte suggestioni, le molte poetiche corrispondenze ed i molti riferimenti che il testo stesso continuamente suggerisce.

È bravo Luigi Moretti, che lo mette in scena anche come regista, a farsi portatore con sapienza recitativa di quei molti snodi e nodi, di quei tanti bivi e crocicchi, e anche di quegli scandalosi inciampi che la drammaturgia propone a lui e a noi.

Assai efficace il suo sdoppiamento tra presenza scenica, che accompagna il violento affastellarsi dei suoi pensieri più fisici, e voce fuori capo che con versi antichi e moderni si fa tramite con ciò che ci supera e sempre ci ri-chiama.

È da solo in scena, ma sembrano molti, quasi eco ripetutata all'infinito di un sé stesso privo di identità come un caleodoscopio, i cui riflessi riverbera sulle belle scenografie di Guerrino Andreani, una sorta di 'terra desolata' a dislivelli coperta di velluti, al cui punto più alto è posto il 'timone' della vita, sui costumi quasi 'onomatopeici' di Stefania Cempini, e a cui danno profondità le luci di Francesco Mentonelli e le musiche di Paolo Principi.

Un bello spettacolo, doloroso forse ma aperto ad orizzonti del passato che possono farsi, oltre la frontiera, esiti del futuro. Molto applaudito.

Maria Dolores Pesce

Ultima modifica il Sabato, 27 Aprile 2024 22:36

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