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ZORRO - con Sergio Castellitto

Sergio Castellitto in "Zorro" di Margaret Mazzantini Sergio Castellitto in "Zorro" di Margaret Mazzantini

di Margaret Mazzantini
con Sergio Castellitto
aiuto regia Francesca Primavera
service audio-luci ISATEC-Roma
organizzazione Marcello Micci
produzione Angelo Tumminelli/Prima International Company 2022
spettacolo realizzato con il sostegno di Intesa Sanpaolo
teatro Comunale, Vicenza, 14 e 15 marzo 2023

www.Sipario.it, 17 marzo 2023

Chi è quell’uomo che vive immerso nel fumo da metropolitana e che racconta di sè stesso e del suo calvario personale? Chi è quel signore quasi elegante e di grande dignità che parla di Zorro, che poi diventano due e probabilmente, forse, altri ancora? Si tratta di un clochard, che detto così alla francese suona meglio se non celasse il disagio di chi, come barbone urbano, vive nei sottofondi, nelle stazioni metropolitane, lungo i corridoi d’entrata della ferrovia, o in strade cittadine magari davanti a entrate di negozi dai marchi lussuosi. E’ Zorro, proprio lui, che racconta di come è arrivato fin lì. “Un eremita sul marciapiede” recita il sottotitolo, e Zorro lo è, eccome. Lui aveva tutto, almeno tutto quello che un uomo si aspetta gli sia quanto meno dovuto, un lavoro, un amore e poi i beni materiali, la casa, la macchina, e un amico fidato cui accudire, un cane, Zorro, in un senso di sdoppiamento. Cosa è successo? Che un incidente, un omicidio colposo, un Mario qualunque muore a causa sua, cosa che purtroppo non è nemmeno così difficile possa capitare, soprattutto di sera sulle strade quando la gente attraversa e può essere un attimo, per tutti, si badi bene. Da lì in avanti Zorro deve cambiare vita anche se non se lo sarebbe mai aspettato. E va a vivere per strada perché il funesto non è mai abbastanza, la moglie lo lascia, e così perde la casa e il lavoro (pensate ai costi di un buon avvocato per venir fuori da quella situazione), tutto. Il copione scritto da Margaret Mazzantini nel 2004, riproposto quasi vent’anni dopo da Sergio Castellitto mette su più gradini gli elementi di un cambiamento che fa riflettere, dona al barbone di casa nostra una dignità e un’anima sensibile, che poi è quella che tutti hanno e per capirlo basta davvero guardarli negli occhi. Al tempo stesso però, quello che Zorro uomo acquista è una sorprendente nuova libertà, uno status da cui osservare più che essere osservati quei “Cormorani” che passeggiano avanti e indietro, spendono, vanno, vengono, giudicano soprattutto, che in fin dei conti siamo tutti noi. L’attenzione dunque in questo spettacolo è su chi viene considerato suo malgrado una specie di rifiuto, ai margini: se non hai non sei. Ma è un modo per ridare anche la fiducia a quegli uomini, che anche se non sono in giacca e cravatta e con il Suv e gli occhiali modaioli sono certamente migliori di essi, quantomeno se la giocano alla pari e di questo possiamo esserne sicuri. Siamo o no tutti uguali? Nel buonsenso può essere un continuo chiederselo, ma la risposta è palese e non si possono aver dubbi. Uguali nei diritti, mica nel conto in banca, che non è certo la cosa di cui tener conto. Fatto sta che Zorro vive e filosofeggia parlando a se stesso, tecnicamente alla quarta parete, e poi ritrova un altro Zorro, un altro cane con cui entra in simbiosi, anche se fino a un certo punto. Pare liberarsi nell’aria anche per l’animale una sorte di randagismo, quando l’umano lo abbandona ma vogliamo credere che anche quella sia una rivalsa, un nuovo inizio di nuova esistenza. Zorro umano scende nei dettagli sui valori creduti, la famiglia, l’amicizia, l’amore che se andati persi forse, chissà, un domani potranno ritrovarsi. E’ un’impennata di orgoglio, un crederci che quel segnale capitatogli, quel destino che lo abbraccia, è qualcosa anche di  positivo a cui in qualche modo aggrapparsi, proprio con filosofia. Castellitto è un fiume in piena, incalza, si muove sicuro da ottimo attore qual è, solo, sulla scena alternandosi tra musiche del mondo, dalle canzoni di Iglesias e Gaetano a melodie più o meno note, danzando con le parole seppur certamente fin troppo distinto nell’abbigliamento per sembrare un barbone. L’argomento è tratto, come il dado, bisogna elaborarlo anche perché è così possente da poterne scavare. Mazzantini decide, nella sua scrittura, di rimanere invece leggera, di mettere brillantezza e quasi bellezza, così tutto appare più dorato di quel che è, che può essere, in una vita così. Esce allo scoperto una quasi allegra, appunto, consapevolezza da parte di Zorro per la propria situazione, che fa rimaner sospeso lo spettacolo. Verrebbe da dire, così è, se vi pare, però.

Francesco Bettin

Ultima modifica il Venerdì, 17 Marzo 2023 09:30

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