uno spettacolo di Peeping Tom
ideazione e regia Franck Chartier
creazione e spettacolo Marie Gyselbrecht, Chey Jurado, Lauren Langlois, Yi-Chun Liu, Sam Louwyck, Romeu Runa, Dirk Boelens
con l’aiuto di Eurudike De Beul
assistenza artistica Yi-Chun Liu, Louis-Clément da Costa
assistente alla sceneggiatura Imogen Pickles
composizione sonora e arrangiamenti Raphaëlle Latini
scenografia Justine Bougerol, Peeping Tom
luci Tom Wisser
coreografia Yi-Chun Liu, Peeping Tom
costumi Jessica Harkay, Peeping Tom
Produzione Peeping Tom
Teatro Valli, Reggio Emilia, Festival Aperto, 28 ottobre 2023
Una barca da diporto incagliata nei ghiacci, il suo equipaggio si muove disorientato fra la le acque artiche di Deception Island, a questo luogo corrispondono le coordinate S 62° 58', W 60° 39' che dà il titolo all’ultimo spettacolo dei Peeping Tom. A fronte di un realismo cinematografico in cui tutto accade credibile, assoluto, vero, indiscutibile, la creazione e regia di Franck Chartier assurgono a riflessione altra rispetto al contesto narrato, diventano un pensiero feroce e senza filtri sulla condizione dell’artista e sulla stasi creativa. A che cosa assistiamo partecipando a S 62° 58’, W 60° 39’? Si partecipa a un di più di realtà, proprio grazie alla finzione assoluta, costruita nei minimi dettagli e capace di offrire all’occhio uno spaccato di realismo cinematografico. Su quell’imbarcazione incagliata nei ghiacci i personaggi cercano di avere la meglio sulla tempesta che infuria impetuosa, ma ad un certo momento un interprete si rivolge al regista e quella rappresentazione iperealistica diventa finzione: scorgiamo i fondali dipinti, ne percepiamo l’artificio. È un po’ come il cielo di cartapesta de Il fu Mattia Pascal, ci ritroviamo al cospetto di qualcosa di inatteso, ci troviamo al cospetto della finzione che si disvela, mettendoci a confronto con la verità inaudita. In questo senso il lavoro di Peeping Tom porta avanti parallelamente la narrazione: la nave incagliata nei ghiacci e la disperazione dei sopravvissuti e la meta-narrazione, ovvero l’interrogare il regista su come andare avanti, che cosa fare. L’effetto è quello di girare a vuoto, così come si muovono i danzatori/attori sulla barca in balia del vento e immobilizzata dai ghiacci. L’impressione è che quanto accade sia una perenne stasi, uno stare che ha l’andamento dell’ago della bussola impazzita. S 62° 58’, W 60° 39’ è un lavoro di una potenza concettuale che fiacca lo spettatore, come fiaccato è il regista, gli attori che tutto dedicano al teatro, alla creazione, fino a farne una sorta di cartina di tornasole della propria esistenza. E così quel non sapere dove andare a finire, quell’avvilupparsi su una storia, un’idea, una situazione: una barca incagliata nei ghiacci che non porta da nessuna parete diventa l’argomento per mettersi a nudo, per osservare da vicino i meccanismi della creazione, per mettere a nudo la figura dell’attore che si offre, sera dopo sera, capro espiatorio dell’anima agli spettatori. Ad essere chiamato in causa è il regista Franck Chartier, lui che ha chiesto ai suoi interpreti di scavare in loro stessi per creare e dare potenza e profondità ai personaggi dei diversi lavori, e così fanno anche in questo, accusando il regista. Alla fine è Romeu Runa a incarnare la disperante vitalità dell’attore/autore che vive sulla scena e della scena, in una performance teatral/coreutica che toglie il fiato, che potente, disturbate, vera e sublime ci mostra cosa vuol dire non solo fare teatro, ma essere teatro, essere nella finzione autentici, indifesi, nudi – di fatto e metaforicamente – per offrirsi agli spettatori, agnelli sacrificali per una platea in cerca di interroganti verità. Applausi, interminabili applausi per un lavoro duro, difficile e che dimostra cosa possa la creatività, anche dichiarandosi in stallo. Atto narcisistico e autoreferenziale o rara capacità di trasformare una mancanza in opportunità? L’interrogativo è sotteso e rimane, ma il vero teatro sta là dove sorgono le domande. Nicola Arrigoni