Di Simone Cristicchi e Manfredi Razzauti
Con Simone Cristicchi
Regia Antonio Calenda
Teatro Goldoni di Livorno 26 marzo 2017
Può il più umile di noi diventare grande e venire dimenticato? Simone Cristicchi sembra risponderci di sì a primo avviso, ci trasporta nel territori maremmani dell''800 e ci racconta, nelle vesti di un carabiniere, chi fosse David Lazzeretti, il Cristo dimenticato dell'Amiata, che predicando un'idea socialista ante-litteram si era inimicato molti tra i potenti dell'epoca, in primis Chiesa e Stato italiano, che era fortemente caratterizzato da un prorompente liberismo. La fede e la Chiesa cattolica hanno un forte impatto nella vita di colui che riteneva sé stesso un inviato da Dio, se dapprima questa mente curiosa e dotata di spiccata intelligenza non si era dimostrata propensa al credo cristiano, così come Paolo sulla via di Damasco, anche costui viene toccato dal Divino e la strada che prende lo porta a creare quella che lui stesso definisce la "Società delle famiglie Cristiane", che lo stesso Antonio Gramsci reputò un interessante esperimento socialista. Nella visione del profeta di Arcidosso si fondono quindi una forte fede, ma anche una sensibilità nei confronti dei più deboli che lo porta a una rivendicazione di quella che oggi potremmo definire "giustizia sociale" e che diede vita alla cosiddetta Chiesa giurisdavidica. Quest'uomo che si riteneva "Cristo tra i Cristi", un semplice barrocciaio maremmano, riuscì con la sua fede, ai limiti della follia, a viaggiare per tutta Europa, conoscere la nobiltà, il più alto clero e i funzionari più prestigiosi di tutto il continente, ma morì accanto a quelle persone che se inizialmente lo denigrarono ritenendolo un pazzo, non lo lasciarono più solo, finché, un carabiniere, proprio colui che viene interpretato da Cristicchi per espiare il senso di colpa per aver ucciso David, un innocente, racconta la storia del Lazzeretti per far sì che la memoria non perisca insieme al corpo. L'opera fortemente influenzata dal teatro brechtiano sia per le tematiche civili che affronta, si sta infatti vivendo il Risorgimento italiano e la definitiva unione dell'Italia non reca particolari vantaggi alla gente comune continuando gli stessi a essere poveri, ignoranti, e a non aver alcuna voce in capitalo per quanto riguarda la società, sia per gli intermezzi cantati in maniera molto pop dal protagonista, lo stesso Cristicchi definisce difatti questa opera un "musical civile" gira intorno al monologo che Cristicchi riesce a portare avanti per un'ora e mezzo in maniera tale che il pubblico rimane interessato, riuscendo a gestire con la sua voce, mutandola, più personaggi. Cristicchi però non è solo sul palco, seppur la scenografia è davvero semplice, specchio della società povera di cui si fa portavoce, un elemento fondamentale per la narrazione è sempre presente, cambiando continuamente alla necessità forma e significato: il barroccio. All'occorrenza infatti questo rappresenta il carretto, le porte della Basilica di San Pietro, il trono di Pio IX, una chiesa in costruzione, modificato senza sosta dal menestrello Cristicchi, nella semplicità e nel girotondo di vorticosi cambiamenti che subisce questo mezzo di trasporto è riassunta quindi la vicenda del protagonista. L'unica pecca che si può riscontrare nello svolgimento del filo-narrativo che viene per un momento spezzato è la riflessione meta teatrale di Cristicchi che porta all'attenzione del pubblico la domanda se colui di cui sta parlando è semplicemente un folle o un personaggio animato da ardente fede, forse infatti sarebbe stato meglio lasciare questo pensiero sottaciuto al pubblico, che lo avrebbe maturato per conto proprio alla fine del racconto e non certo prima del finale, senza bisogno di quella che per alcuni è sembrato uno stimolo artificioso, un passaggio comunque lieve che non inficia sulla buona proposta teatrale a cui il pubblico ha assistito.
Matteo Taccola