di Giovanni Testori
regia di Gigi Dall'Aglio
con Arianna Scommegna e Giulia Bertasi, Compagnia Atir
Il Grande fiume, Brancere - Stagno Lombardo, 21 luglio 2012
E' il dolore di una madre umanissima che interroga l'assenza del suo figlio 'trafitto e trafittato', è il chiedersi il perché di tanta sofferenza mentre le mani preparano un pane con le sembianze del Cristo. La Madonna di Mater strangosciàs di Giovanni Testori è una popolana, colta nella sua cucina, è una contadina della bassa che sferruzza con al fianco quell'agnolo Gabriello che imbraccia una fisarmonica e accompagna col suo canto il pianto di una madre. La Mater testoriana è Arianna Scommegna che diretta da Gigi Dall'Aglio e affiancata alla fisarmonica da Giulia Bertasi si mette alla prova di nuovo con la scrittura poetica e la lingua inventata dei Tre Lai. Dopo la seduzione provocante di Cleopatràs, tocca ora alla Madonna non ai piedi del corpo di Cristo sotto il sudario come vorrebbe il poeta, ma con intelligente intuizione registica impegnata in atti domestici. Quell'impastare un pane che avrà le sembianze del volto del Figlio, quella Veronica che altro non è che uno straccio da cucina, quel fare e trabattare da massaia danno alle parole e all'urlo di dolore della Madonna contadina una matericità che si incide nella carne e nel volto di Arianna Scommegna. L'interprete modula voce e mimica assumendo ora pose di ieratica bellezza artistica, ma anche atteggiamenti ed espressioni che si rifanno ad un'antropologia popolare consegnata ai quadri di Bosch o a certi volti popolani del miglior Ermanno Olmi. La regia di Gigi Dall'Aglio trasforma le parole in azioni, dà sudore e carne a quella lingua impastata di dialettismi, francesismi, latinismi, una lingua che racconta lo sgomento davanti alla morte, che dice della trasformazione cui invita lo scandalo del sacrificio del Cristo, dice di un rivolgersi agli spettatori di un teatro che è coro se non orante almeno compartecipe alla 'rivoluzione' del messaggio cristiano. A non rendere la 'vita 'na ciavada' è quel chinare la testa, è quel perdonare che – sta qui lo scandalo? – può dare un senso anche al dolore, il dolore di una madre che piange il figlio morto. In tutto ciò – nel giocare la messinscena di questa lauda padana fra fornelli e brandelli di sipario rosso fiammante – c'è una tessitura di gesti e toni recitativi, una tenuta drammatica e attorica che confermano Arianna Scommegna grande interprete testoriana, attrice che sa piegare corpo e voce alla parola poetica, una parola che porge alla platea interrogandola, complice il poeta. Gigi Dall'Aglio – dal canto suo – si conferma metteur en scène intelligente e mezzo interpretativo al servizio dell'autore e del pubblico che alla fine commosso e partecipe applaude all'umanissimo dolore di una madre che piange quel figlio tanto umano da essere Dio incarnato.
Nicola Arrigoni