di Carlo Goldoni
Adattamento e regia di Roberto Valerio
Interpreti: Alessandro Averone, Mimosa Campironi, Franca Penone, Nicola Rignanese, Massimo Grigò, Davide Lorino, Roberta Rosignoli, Mario Valiani
Foto: Ilaria Costanzo
Scene e costumi: Guido Fiorato
Musiche originali: Mimosa Campironi
Luci: Emiliano Pona
Produzione: Teatri di Pistoia – Centro di Produzione Teatrale
Teatro Vittorio Emanuele di Messina dal 17 al 20 gennaio 2025
Nella Venezia del ‘700 il gioco delle carte era lo sport preferito. Giocavano tutti, ricchi e poveri, nobili e borghesi e pure Carlo Goldoni non disdegnava di giocare nei caffè e nelle bische, al punto da dedicarvi una commedia, Il giuocatore, una delle sedici scritte in un solo anno (1750) per dare risposta ai suoi detrattori e ai vari impresari. Non è un capolavoro come La bottega del caffè, che 56 anni fa entusiasmò il regista tedesco Rainer Werner Fassbinder tanto da scrivere e mettere in scena al Theater der Freien Hansestadt di Brema Das Kaffehaus, un adattamento dell'omonima commedia di Goldoni, intrisa di tinte fosche e atmosfere lugubri. Anche Dostoevskij, anche lui colpito dal vizio delle carte, nella sua acuta e profonda opera, Il giocatore (1866), analizza il gioco d'azzardo in tutte le sue forme con i diversi tipi di giocatori, dai ricchi nobili europei, ai poveretti che si giocano tutti i loro averi, non dimenticando i bari dei casinò. Insomma il gioco delle carte è una patologia come il fumo, l’alcol e droghe varie, da cui è difficile uscirne. Anche se alla fine di questa edizione de Il giuocatore, transitata dal Vittorio Emanuele di Messina, prodotta dai Teatri di Pistoia, il personaggio di Florindo, interpretato da un pimpante Alessandro Averone, promette al futuro suocero, il mercante Pantalone de’ Bisognosi (il notarile Davide Lorino), impalmandone la figlia Rosaura, cui dava vita ma non la voce che si fermava sul proscenio, Mimosa Campironi, che lui mai più avrebbe toccato le carte da gioco. Una commedia che si trascina stancamente dalla passata stagione, che il regista Roberto Valerio ambienta ai giorni nostri, facendo muovere i personaggi, con abiti attuali, sulla poppa d’un bastimento: pennone centrale, una sfilza di porte e scalette a sinistra di chi guarda, un cumulo di bauli, casse capienti, pure un pianoforte a destra, metafora forse d’un viaggio che i protagonisti compiono stando fermi nello stesso luogo. Occorre dire che anche prima di questa opera, Goldoni aveva iniziato la sua rivoluzione teatrale, cominciando ad eliminare i nomi dei personaggi della commedia dell’arte attribuendo loro forme di realismo più vicine alla vita quotidiana e alle problematiche della società veneziana. Fuori dunque Brighella, eliminato dallo stesso Valerio, rimangono Pantalone e Rosaura, ma molto spazio vien dato a Gandolfa e Pancrazio (rispettivamente Franca Penone e Nicola Rignanese) protagonisti di gustosi siparietti, certamente assieme al Florindo di Averone coloro che riescono ad imprimere vivacità all’intero spettacolo. Si fa notare in una strana mise la Beatrice di Roberta Rosignoli, amante di Florindo, che si muove come se dicesse “consideratemi un sogno”’ e appaiono un paio di volte i due giocatori bari Massimo Grigò e Mario Valiani, quasi il Gatto e la Volpe di memoria collodiana, in grado di spogliare dei suoi zecchini il Pinocchio del povero Florindo, il cui suo pensiero dopo aver perso miseramente è quello di rifarsi, cercando una rivincita che mai giungerà, facendosi prestare i soldi da chiunque, pure dall’anziana Gandolfa aggirandola con le sue lusinghe maritali, impegnando per giunta il prezioso bracciale della sua promessa sposa Rosaura. Gigi Giacobbe