di Cristina Comencini
Margherita Buy, Isabella Ferrari, Marina Massironi, Valeria Milillo
scene: Paola Comencini
costumi: Antonella Berardi
regia: Cristina Comencini
Milano, Teatro Manzoni, dal 6 marzo al 1 aprile 2007
In «Due partite» scritto e diretto da Cristina Comencini, interpretato da quattro brave attrici come Margherita Buy, Isabella Ferrari, Marina Massironì e Valeria Milillo, due generazioni di donne si confrontano. La prima è quella di signore borghesi negli Anni Sessanta che si ritrovano per giocare a carte tutte le settimane, sono donne scontente del matrimonio, disilluse dalla vita. Una è frustrata dall'avere dovuto rinunciare a una carriera artistica per la figlia e il marito concertista, l'altra ha il marito che la tradisce ma tre figli che adora, l'altra ancora è tradita e traditrice, l'ultima è un'idealista che vive nei romanzi, al nono mese di gravidanza , terrorizzata dai racconti di disfacimento delle tre amiche. Quattro donne, quattro mondi di solitudine, la solitudine di chi ha avuto come unica prospettiva in quanto donna il matrimonio e i figli, solitudine cui fa da controcanto l'insoddisfazione in un ambiente dove i problemi non sono certo quelli del vivere quotidiano, dei soldi per mettere insieme il pranzo con la cena, ma quelli di una realizzazione di sé che si intuisce potrebbe passare dall'indipendenza economica e dal lavoro. Nella seconda parte queste mete sono state acquisite, e a raggiungerle sono state le figlie di quelle signore, libere professioniste, stordite di lavoro, donne di successo e in carriera, ma la solitudine e l'insoddisfazione sono le stesse così come il vuoto esistenziale. Il tema della maternità pesa allora come oggi, in modo diverso, ma sempre notevole perché è difficile essere donne e madri in una società competitiva e cinica che per costruire una donna libera la sta disfacendo imponendole modelli maschili. Due generazioni di donne nel confronto della vita in una commedia ben scritta, dai dialoghi veloci e sapidi, ben recitata che offre uno spaccato di ordinaria difficoltà di vivere al femminile.
Magda Poli
Quattro brave interpreti per il testo scritto e diretto dalla Comencini
Un'operazione intelligente e acuta quella condotta in porto da Cristina Comencini in veste di autrice, regista e factotum, che in Due partire, testo da lei scritto con un occhio confessato alla Ginzhurg e uno implicito al cinema di famiglia, mette felicemente a confronto due generazioni femminili di stampo borghese con un bel campionario di primattrici al rientro sul palco dagli schermi. Si immagina, come noto, di mettere a confronto, nei due tempi, quattro signore sui trenta che negli anni sessanta si ritrovano per una partita a carte settimanale, con rispettive figliolanze depositate a giocare nella stanza accanto, e appunto le loro eredi femmine, una per ciascuna, che continuano la tradizione degli incontri quarant'anni dopo, ma più inquietamente in piedi e senza più canaste. Il tema dello spettacolo è espresso da quel fisico differenziarsi tra le signore truccate appena uscite dal parrucchiere della prima parte, coi loro classici fili di perle, ma senza una vita professionale, delle mogli ansiose di guadagnarsi qualche lira alle carte, e quelle professioniste, tutte in nero e pantaloni, inghiottite dai problemi di lavoro, con dichiarata sufficienza. E se nella prima parte il problema del referente maschile punta ossessivamente sulle questioni sessuali variamente risolte e sulla vocazione inevitabile delle signore a venir tradite, anche se qualcuna si ribella al ruolo di donna vittima, nella seconda, con qualche differenza di linguaggio per cui non si dice più "fare quello" ma più semplicemente "scopare", l'uomo è retrocesso a partner eventuale denunciabile per ridicole manie, mentre si parla assai d'inseminazione. Non a caso il round borghese pone in primo piano la figura di una giocatrice incinta e si chiude sull'orrore del parto, mentre il più drammatico capitolo della professionalizzazione si apre all'indomani della morte liberatoria, per suicidio, di quella stessa donna. C'e in effetti una continuità tra i caratteri delle madri e le rispettive figlie, non a caso destinate a mantenere le stesse posizioni in scena, anche se a volte i loro atteggiamenti si rovesciano mentre il giudizio della Comencini verso le prospettive offerte dal nuovo secolo non appaiono positive. Per sua abilità e nostra fortuna la regista può pero contare sulla disponibilità entusiasta di quattro attrici vogliose di approfondire i confronti generazionali misurandosi col loro intimo: e vanno tutte lodate anche per il loro spiritoso diversificarsi progressivo da se stesse: Margherita Buy, Isabella Ferrari, Marina Massironi e Valeria Milillo, brave davvero al di là degli aggettivi.
Franco Quadri
Dopo la disamina dello status familiare nella Bestia nel cuore, la coraggiosa Cristina Comencini affronta con uno humour pacato e dolente l'analisi della condizione femminile. In uno spaccato esistenziale, in bilico tra ieri e oggi, la prima pièce dell'autrice cinematografica di successo divarica in due tempi significativamente intitolati Due partite l'alienazione della donna nell'Italia degli anni Sessanta e nell'Italietta in frenetica corsa d'aggiornamento che impera oggi nell'era del consumismo.
Ma per dirla con Dacia Maraini che già indicò nell'Età del malessere lo sconcerto delle conquiste femminili alle soglie di un femminismo più apparente che sostanziale, le quattro signore borghesi che ogni giovedì giocavano a canasta come le loro quattro figliole che ritroviamo oggi alle soglie della maturità appagate nella professione ma confinate nel deserto della solitudine lanciano allora ed ora un tristissimo grido d'allarme disatteso dalla società postmoderna.
E mentre Loleh Bellon, nella sua pièce anch'essa intitolata Le signore del giovedì, si limitava a sottolineare in un patetico ritratto di gruppo l'inamovibile ruolo delle protagoniste, costrette a scambiarsi le inutili confidenze di chi ha rinunciato a qualsiasi ipotesi d'evasione, Cristina fa qualcosa di più e di meglio. Ponendo l'accento sul problema irrisolto della conciliazione tra successo professionale e armonia familiare nel mondo della donna che, alle soglie della sterilità biologica, coltiva invano la speranza di diventare madre, la Comencini fotografa un disagio esistenziale che ci auguriamo non venga ignorato dal nostro teatro. Così prodigo nell'evocare le grandi figure femminili della storia ma così avaro nel proporre quelle alternative che educhino a ricostituire un autentico concetto di coppia. Sul quale l'intimismo cechoviano della regia insiste con tenerezza confortato dalla bella prova delle protagoniste tra le quali, accanto alla grazia della Massironi e all'eleganza della Buy, spicca l'appassionata Valeria Milillo e, in una superba caratterizzazione più bitter che sweet una dotatissima Isabella Ferrari.
DUE PARTITE - di Cristina Comencini Regia dell'autrice, con Isabella Ferrari, Valeria Milillo, Marina Massironi e Margherita Buy. Milano, Teatro Manzoni, fino all'1 aprile.
Enrico Groppali