lunedì, 20 maggio, 2024
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DURANTE - regia Pascal Rambert

"Durante", regia Pascal Rambert "Durante", regia Pascal Rambert

PRIMA ASSOLUTA
testo e regia Pascal Rambert
traduzione Chiara Elefante
scene Pascal Rambert e Anaïs Romand
costumi Anaïs Romand
luci Yves Godin
musiche Alexandre Meyer
assistente alla regia Virginia Landi
con (in ordine alfabetico) Anna Bonaiuto, Anna Della Rosa, Marco Foschi, Leda Kreider, Sandro Lombardi 
e con gli allievi del Corso Claudia Giannotti della Scuola di Teatro “Luca Ronconi” del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa Miruna Cuc, Cecilia Fabris, Pasquale Montemurro, Caterina Sanvi, Pietro Savoi
e con Ludovica Bersani, Giorgio Saglimbeni/Filippo Boncinelli, Amelia Varretta
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
in coproduzione con structure production e Compagnia Lombardi-Tiezzi 
Piccolo Teatro “Grassi”, Milano, 28 aprile 2024

www.Sipario.it, 5 maggio 2024

Per chi non avesse visto “Prima” (come il sottoscritto), “Durante” è chiaro (od oscuro) come un limbo acquatico. Tutto lo spettacolo sembra immerso nell’acqua o nel fumo (letteralmente) o nel flusso (sonoro) di uno stato di mezzo. Capiamo subito che si tratta dello stato di mezzo tra vita e morte, dopo un frontale tra due fuoriserie di cui una, la Ferrari rossa (che vediamo contorta e fumante in centro scena), era carica di attori, gli stessi dello spettacolo. L’impressione che il primo dialogo, con gli attori che vagano in slow motion sulla scena invasa dal fumo, serva solo a renderci edotti della situazione che ha portato all’incidente, viene subito sostituita dalla certezza della funzione fortemente metaforica di quel frattempo limbale: da un lato lo scontro tra le due supercar sembra evocare il momento clou della battaglia nella seconda tavola del trittico “La battaglia di San Romano” di Paolo Uccello, punto di partenza di tutto il progetto, quella del disarcionamento del capitano senese. Ma potrebbe alludere allo “svago”, ormai fin troppo diffuso, di darsi alla velocità come mezzo per dimenticarsi di sé? E, se sì, di cosa dovrebbero dimenticarsi questi attori? Solo dei disperanti reticoli amorosi che, scopriremo, li incatenavano l’uno all’altro? Oppure, ancora, la Ferrari incidentata la si può vedere anche come immagine del teatro pubblico primario, con tutti i suoi lussi? 
Del resto, che lo spettacolo sia una riflessione sul teatro è chiaro fin dall’inizio. Gli attori si chiamano l’un l’altro col proprio nome; sembrano pezzi di autobiografia i loro monologhi; la sfiducia nel personaggio cola nel post drammatico dell’autofiction, trama in cui viene assorbito lo stesso luogo in cui siamo, il Teatro Grassi. Così, una delle giovani attrici racconta di aver visto l’”Arlecchino” di Strehler da bambina, con la madre; e sentita l’attrazione fatale entra alla scuola del Piccolo; i tre anni di full immersion; gli altri giovani con cui fa classe: sono i sogni d’amore e di teatro comuni a tutti quelli che hanno intrapreso questa strada. Anche gli attori più anziani giocano al passato, il limbo in cui il coma li ha confinati è il luogo ideale per riassumersi.
Negli scambi avvertiamo i fili di un racconto d’amore che si dipana tra i personaggi: una coppia, un triangolo, una crisi. Altra crisi, poi, tra gli attori più anziani: amori disillusi, amarezze assortite. Gli echi di due canzoni che vengono ripetutamente citate: Morandi e la Goggi, soprattutto quella “Maledetta primavera” che molti avranno maledetto per la sua capacità di rendersi “earworm”. Nella velocità da cui sboccia la collisione le canzoni si sono fuse, mandate a tutto volume dalle autoradio dei due bolidi (tratto che viene puntualmente colto dalla colonna sonora, onnipresente). 
L’evocazione del fantasma di Arlecchino nella memoria dell’attrice si condensa poi, circa a metà spettacolo, nelle losanghe, insanguinate, della tenuta soleriana indossata da un altro dei giovani di compagnia. Della prestanza scattante dell’originale rimane solo un’appannata citazione, tuttavia la sua perorazione è una straordinaria e dolorante presa d’atto: sangue per sangue, quello che copre l’Arlecchino incidentato non può che richiamare, a monito, quello degli antifascisti torturati in quello stesso luogo prima che diventasse teatro con l’invenzione postbellica di Grassi-Strehler. Specie in questo momento storico. 

Franco Acquaviva

Ultima modifica il Giovedì, 09 Maggio 2024 09:43

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