Tre atti unici di Anton Čechov
adattamento Peter Stein e Carlo Bellamio
regia Peter Stein
L’orso: Maddalena Crippa, Sergio Basile, Alessandro Sampaoli
I danni del tabacco: Gianluigi Fogacci
La domanda di matrimonio: Alessandro Averone, Sergio Basile, Emilia Scatigno
Scene Ferdinand Woegerbauer
costumi Anna Maria Heinreich
luci Andrea Violato
Produzione Tieffe Teatro, Quirino srl.
Al teatro Ivo Chiesa di Genova, ospite del Teatro Nazionale, dal 21 al 23 marzo 2025
In fondo Anton Cechov, artisticamente ma anche esistenzialmente parlando, è un ossimoro, è cioè, quest'uomo che ha vissuto in perenne contraddizione il rapporto con l'altro sesso tra attrazione e resistenza alla sua matrimoniale istituzionalizzazione, un misogino che ama e ammira profondamente le donne. Ed è proprio attraverso la rappresentazione delle deformazioni sociali e psicologiche indotte sulla natura del femminile (e specularmente anche del maschile) dalle convenzioni sociali, in primis appunto l'istituto del matrimonio borghese e patriarcale, che Cechov cerca e riesce spesso a rintracciare la 'forma' autentica e irriduciblmente sentimentale del femminile, oltre la nebbia di una presunta guerra dei sessi che in realtà è un combattimento di entrambi contro quelle stesse convenzioni che li coartano. Crisi di nervi, questo trittico cechoviano riproposto dalla sapiente regia di Peter Stein, è il 'meccanismo' drammaturgico per il disvelamento 'ironico', è una commedia in tre parti in cui si esercita, prima dei grandi drammi della maturità, la profonda sensibilità psicologica del grande scrittore russo, che io credo 'amava' più di ogni altro i suoi personaggi, è infine uno 'scandaglio' lanciato in profondità sotto la superficie della società del suo tempo. Uno scandaglio che ci mostra l'uno (il sentimento di sé ed in sé che uomini e donne cercano di esercitare) e l'altra (la Società in cui si trovano ad accadere essendone influenzati ma anche influenzandola), l'uno dentro l'altra o ancor meglio l'uno attraverso l'altra. Fu a suo tempo sintomatico del profondo intrecciarsi di questi due aspetti, ciascuno dei quali singolarmente sottoscrivibile e solo all'apparenza in 'contraddizione', la dinamica della prima messa in scena, da parte di Stanislavskij, di uno dei successivi grandi capolavori cechoviani Il Giardino dei ciliegi. Se infatti Cechov insisteva di aver concepito una commedia, quasi una farsa, il regista vi leggeva invece un dramma sociale, la crisi della piccola nobiltà rurale di fronte al ruggire dei “nuovi ricchi”, in una sorta di aspra contrapposizione che durò fino alla prima, quando il grande successo della pièce sciolse l'apparente enigma nella drammaturgica compatibilità e coerenza delle due diverse 'visioni'. La visione di Stein, oggi, è un nuovo e consapevole 'omaggio' alla sapienza della scrittura di Cechov che qui usa e trasfigura i meccanismi della commedia e del contemporaneo vaudeville, necessariamente attraenti nel portare lo spettatore dentro la 'macchina' ironica dei tre atti unici, facendo in un certo senso esplodere nella risata il tradizionale, ma persistemente in bellica crisi con sé stesso, salotto borghese. Non citiamo ovviamente le tre vicende, peraltro credo piuttosto conosciute, se non per sottolineare la coerenza narrativa di tre storie giocate tutte sulla dialettica contrappositiva tra uomo (intralciato nella maschera di marito o pretendente tale) e donna (implicata e imprigionata nell'immagine, spesso negativa ma paradossalmente attrente, che quell'uomo ha di lei), in una sorta di tesi e antitesi la cui sintesi vorrebbe, tra le mille difficoltà della vita e i mille ostacoli della società, essere il reciproco svelamento e la reciproca 'accettazione'. La messa in scena di Stein, è dunque una riuscita 'empatia' che da una parte non priva lo spettatore della risata liberatoria, suscitata nei giusti ritmi della rappresentazione, e dall'altra utilizza quella risata per provocare e consolidare un profondo contatto con i sentimenti, anche melanconici, che su quella stessa scena si agitano. La prova degli attori, così guidata, è rimarchevole in tutti e tre gli 'episodi', da Maddalena Crippa, Sergio Basile e Alessandro Sampaoli nel primo, a Gianluigi Fogacci nel secondo, e infine a Alessandro Averone, Emilia Scatigno e ancora Sergio Basile nel terzo, combinando nella mimica, nella postura e nella dizione (felicemente non microfonata) tradizione e performatività. È una miscela scenica efficace, infatti, quello tra la grande qualità del cast ed una regia che sa chiedere in ogni momento agli attori il meglio della loro espressività, senza mai rischiare quel cabotinage che talvolta è facile nella farsa. Le scene di Ferdinand Woegerbauer, i costumi di Anna Maria Heinreich e le luci Andrea Violato danno ulteriore amalgama alla messa in scena, sottolineando il quasi inevitabile sovrapporsi di naturalismo e simbolismo. Scrisse Anton Cechov a Maksim Gor'kij: “le vie che ho tracciato rimarranno integre e sicure: è questo il mio unico merito”. Il pubblico ha capito e gradito, nella grande e piena sala del teatro Ivo Chiesa, applaudendo a lungo in corso e alla fine del trittico. Maria Dolores Pesce