regia di Enrico Baraldi e Nicola Borghesi
un progetto Kepler-452
drammaturgia Enrico Baraldi e Nicola Borghesi
con Nicola Borghesi e Tiziana De Biasio, Francesco Iorio, Dario Salvetti, Massimo Cortini / Mario Berardo Iacobelli / Alessandro Tapinassi – Collettivo di fabbrica lavoratori GKN
luci e spazio scenico Vincent Longuemare
sound design Alberto Bebo Guidetti
video e documentazione Chiara Caliò
consulenza tecnico-scientifica su Il Capitale di Karl Marx Giovanni Zanotti
assistente alla regia Roberta Gabriele
macchinista Andrea Bovaia / Andrea Bulgarelli
tecnico luci e video Giuseppe Tomasi
fonico Francesco Vacca
elementi scenici realizzati nel Laboratorio di ERT
produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
si ringraziano Stefano Breda e Cantiere Camilo Cienfuegos di Campi Bisenzio
Teatro Astra, Torino, 16 febbraio 2024
Leggi il titolo, Il capitale di Karl Marx, e subito pensi alle mille e più pagine di cui si compone un manoscritto tanto rivoluzionario quanto forse incompreso ed obsoleto: testo simbolo di una lotta contro il capitalismo, oggi da più parti avvertita come necessaria, che il collettivo bolognese Kepler-452 prende a prestito per la sua ricognizione tra il teatro politico ed il teatro di denuncia nello spettacolo ideato e diretto da Enrico Baraldi e Nicola Borghesi. Per un mese residenti giorno e notte nei locali della toscana GKN, fabbrica fiorentina al centro di un’inquietante vicenda di violenza sul lavoro con tutti gli operai licenziati a luglio 2021 dopo l’invio di una fredda email, Nicola ed Enrico partono dalla loro esperienza di occupazione per raccogliere materiali e testimonianze relativi ad un percorso di vita lavorativa e privata indirizzato verso un tunnel senza uscita: affidato prologo ed epilogo alla voce di un emozionato delegato sindacale, servendosi del significativo contributo in scena di tre “lavorattori”, prende forma un racconto dialogo con il pubblico che mescola vita di fabbrica e vita privata, contestazioni e lotte lavorative come dinamiche più intime e personali correlate al dramma che stanno vivendo da trentun mesi più di quattrocento operai e relative famiglie. E se fin qui si è riferita la cronaca, con il passare dei minuti lo spettacolo ne diventa rilettura attraverso il filtro letterario dell’opera di Marx che, sequenza dopo sequenza, si fa sempre più presenza viva in scena non tanto nelle fattezze fisiche di questo o quel personaggio, quanto nella definizione di un ben definito clima culturale, di un ambiguo modo di raccontare degli organi di informazione e, non da ultimo, nella quotidiana lotta che i padroni combattono con gli operai cercando di fiaccarne forze e istinti di resistenza. Ma soprattutto, e in questo forse risiede il maggiore pregio dell’intera operazione, Il capitale di Kepler-452 diventa uno spiazzante interrogare ed interrogarsi sulla specifica funzione dell’arte: partendo dalla volontà di raccontare l’abuso dei padroni su di una comunità di lavoratori, in realtà il rischio è quello di porsi poi al medesimo livello. A cosa è infatti servito trascorrere un mese h 24 in fabbrica se non a raccogliere il materiale oggetto di uno spettacolo che sarà poi, legittimamente, “capitalizzato” attraverso la vendita delle singole repliche? Interrogativo provocazione che accompagna la visione di novanta minuti, inutile dirlo, salutati con convinti e meritati applausi: esito finale in cui la deriva verso un eccessivo sentimentalismo trova per fortuna assai poco spazio, in luogo di una narrazione partecipata e condivisa che porta con sè l’amara consapevolezza sull’effettiva incapacità (o forse mancanza di volontà) di impegnarsi tutti verso la definizione di un’architettura differente da quella capitalistica, artisti e mondo del teatro compresi. Una sorta di cortocircuito che scorta all’uscita lo spettatore consapevole di come il teatro, ed i suoi interpreti, siano più del solito scesi in campo accettando di sporcarsi le mani con le contraddizioni di un sistema di valori e di pensiero di cui, a ben vedere, risultano alla fine parte integrante. Ed allora, come uscirne? Nessuno forse ha la risposta, ammesso che una ce ne sia: di certo la volontà di testimonianza corrisponde al preciso indirizzo di schierare su di un medesimo fronte comune chi determinate battaglie le combatte, chi le racconta e chi le ascolta. Impresa coraggiosa e non priva di rischi, di questi tempi non poca roba a pensarci bene…. Roberto Canavesi