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BIANCA E FERNANDO - regia Hugo de Ana

"Bianca e Fernando", regia Hugo de Ana "Bianca e Fernando", regia Hugo de Ana

Melodramma in 2 atti di Domenico Gilardoni
Libretto rielaborato da Felice Romani
Musica di Vincenzo Bellini
VERSIONE GENOVA 1828 PER L’INAUGURAZIONE DEL TEATRO CARLO FELICE
PRIMA ESECUZIONE IN TEMPI MODERNI
Nuovo Allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice
Personaggi e interpreti
Bianca Salome Jicia
Fernando Giorgio Misseri
Filippo Nicola Ulivieri
Carlo Alessio Cacciamani
Clemente Giovanni Battista Parodi
Viscardo Elena Belfiore
Eloisa Carlotta Vichi
Uggero Antonio Mannarino
Maestro concertatore e direttore Donato Renzetti
Regia, scene e costumi Hugo de Ana
Luci, Valerio Alfieri
Assistente alla regia Filippo Tonon
Assistente alle scene Nathalie Deana
Assistente ai costumi Cristina Aceti
Orchestra, Coro e Tecnici del Teatro Carlo Felice
Maestro del Coro Francesco Aliberti
Mimi: Andrea Baldassarri, Simone Campisi, Sabrina Cerrona, Luca De Rinaldo, Dario Greco, Ivano La Rosa, Alessandro Percuoco, Martin L. Ruis, Martina Serra, Savino Somma, Stefania Ventura, Marianna Zanaglio, Elidon Zamblaku.
Genova, Teatro Carlo Felice, 19 novembre 2021

www.Sipario.it, 22 novembre  2021

Il genovese Teatro Carlo Felice in questo periodo di incerta programmazione è riuscito nell’allestimento dell'opera di Vincenzo Bellini, Bianca e Fernando nella versione che il compositore catanese redasse del 1828 appositamente per il teatro ligure. Peccato solo che la rappresentazione abbia coinciso con un sommarsi di iniziative tra Piacenza, Bergamo, Firenze, Roma e Venezia, distogliendo l'importanza dell'iniziativa dai media nazionali rimanendo, di fatto, circoscritta nell’ ambito locale. Operazione interessante per vari motivi: perché si tratta di un'operazione identitaria per Genova in quanto fu il titolo che il 7 aprile 1828 inaugurò il Teatro stesso, come ricorda una cronaca del tempo «alla presenza de’ Reali Sabaudi, tra il giubilo e l’ammirazione de’ cittadini e de’ molti forestieri tratti a Genova da così splendida festa». La ricostruzione storica dell’avvenimento permette quindi di dare il giusto risalto a uno dei protagonisti della scena culturale dell’epoca, fautore della scelta dell’opera belliniana in questa circostanza: il poeta genovese Felice Romani, massimo librettista italiano della prima metà del secolo, che in qualità di referente artistico dell’organizzazione aveva concepito per questa singolare occasione un cartellone denso di primizie, coinvolgendo, quasi in concorrenza tra loro, alcuni tra i maggiori operisti del tempo e provvedendoli appositamente di soggetti e di rime. Il primo a rispondere all’appello fu appunto Bellini, che per l’occasione, potendosi giovare anche dei sapienti interventi drammaturgici del prediletto Romani, decise di riprendere un lavoro già presentato due anni prima a Napoli, Bianca e Gernando. Altro elemento celebrativo, i 30 anni dall'inaugurazione del ricostruito del Carlo Felice nel progetto di Aldo Rossi che ha permesso alla vita culturale genovese di confrontarsi per struttura e organizzazione con il contesto lirico musicale internazionale. Si aggiunga che si è trattata della prima esecuzione moderna dell’opera, occasione per ascoltare finalmente preziose pagine belliniane andate perdute, tra cui quelle dell’Allegro in re maggiore che integrava la breve sinfonia d’apertura originaria e alcune arie dell’opera tra quelle citate da Bellini nelle sue lettere, rinvenute nel Museo del Risorgimento e nella biblioteca del Conservatorio Niccolò Paganini, frutto del capillare lavoro di ricerca promosso dalla Fondazione Teatro Carlo Felice nell’ambito del progetto Civiltà musicale genovese, realizzato in collaborazione con il Centro Studi belliniani e la Fondazione Bellini di Catania per l’edizione critica nazionale delle Opere di Vincenzo Bellini. La trama di Bianca e Fernando ricalca in tutto e per tutto quella di Bianca e Gernando, come seconda composizione lirica del musicista catanese, dopo Adelson e Salvini data al Teatrino del Conservatorio nel febbraio 1825, andata in scena al San Carlo il 30 maggio 1826 (con il nome del protagonista a suo tempo opportunamente modificato per non mancare di rispetto all’erede al trono Ferdinando di Borbone). Si narra di Carlo, Duca d’Agrigento spodestato dall’usurpatore Filippo, e di suo figlio Fernando, che dall’esilio riesce a sventare gl’intrighi del tiranno e il progettato matrimonio di questi con sua sorella Bianca sino a riguadagnare alla propria famiglia la dignità del trono. La ripresa genovese offriva a Bellini stimoli per riproporre sotto una nuova luce tale vicenda appassionante, che già a Napoli aveva riscosso ampi consensi con un cast, di primissimo ordine che includeva i nomi di Henriette Méric-Lalande (Bianca), Giovanni Battista Rubini (Fernando) e Luigi Lablache (Filippo). Lo stesso soprano Henriette Méric-Lalande sarà protagonista di altre opere belliniane per Il Pirata (1827), nella Straniera (1829) e Zaira (1829). A Genova Bellini ebbe a disposizione un cast altrettanto d’eccezione, con il soprano Adelaide Tosi (voce preferita da Mercadante, Pacini, Vaccaj e poi da Donizetti, il tenore Giovanni David e il basso Antonio Tamburini nei ruoli primari, un’orchestra di sessantacinque elementi e un coro di trentasei. Tra la cronologia delle opere belliniane questa versione si colloca tra Il Pirata (1827) e la Straniera (1829). Il successo fu ampio, poiché gli annali registrano ben ventuno recite dell’opera, «con favore crescente». Malgrado ciò, l'opera è caduta nel dimenticatoio con qualche rara registrazione del 1976 e nel 1991 per Teatro Massimo Bellini di Catania con un giovane Gregory Kunde come protagonista. La versione napoletana di Bianca e Gernando è stata allestita e registrata per il Rossini Festival in Wildbald nel 2018 protagonista Silvia Dalla Benetta e Maxim Mironov). Per oltre un secolo si è cercato di recuperarne i contenuti partendo dal confronto tra la stesura primigenia napoletana e alcune varianti genovesi mancando all’appello vari brani. Per chi ha già pratica di ascolto del repertorio belliniano, vi potrà trovare tante citazioni di quanto il compositore ha preso da sé stesso e successivamente trasportato nelle sue composizioni che ci permettono di ricostruire un filo conduttore tra il complesso delle sue opere teatrali. Già la trama si presenta come una variante del Pirata, con relazioni celate, usurpazioni e agnizioni finali. Ma il complesso musicale ci offre un compositore già definito nelle sue caratteristiche, per le sue arditezze vocali richieste al canto al quale pretende voci con ampie escursione e salti di tono agilità e coloratura ma nel contempo consistenza drammatica, la nitidezza nel fraseggio e nei recitativi; nella musica incisività dei concertati, con il loro ritmo incalzante e sostenuto, l'ampio fraseggio orchestrale la costruzione ritmica e corale delle scene portanti. L'allestimento era riposto nelle mani del regista Hugo de Ana, suoi anche scene e costumi, elaborata su un netto contrasto di effetti bianco /nero. Scena complessa impostata su un gioco di sfere, tanti palloni compreso un planetario: fa da contenitore una cava, abbagliante, sulla cui parte alta era alloggiato il coro, completamente in bianco, il tutto giocato con un praticabili circolari che scorrendo creavano vari effetti di taglio. Nel complesso scena nera, come neri i costumi che identificavano i "cattivi" (Filippo e la sua corte) come bianchi i seguaci di Fernando. Sfugge nell'immediato un significato di questi segni così insistenti ma estranei al sia pur minimo contesto della trama a meno che il regista non abbia fatto un riferimento ad una citazione del racconto (In quella notte orrenda, Che presente m'è ognor, sebben sei lune Già si compir, un grido) nella narrazione di Clemente, che riconosce l'esule Fernando e poi ripresa nel disvelamento tra Bianca e Fernando. Come sfugge la scena iniziale con un gruppo di bambini che assistono ad una lezione di geometria, come si volesse quadrare il cerchio delle vicende umane, un pianoforte distrutto, come alcune simbologie tratte dalla tradizione del Classicismo, l'aquila su lancia, un medaglione mitologico di ispirazione canoviana che ci riportano ai primi decenni dell'800, come i costumi complessivi, anche se l'impianto generale assegna alla vicenda uno spazio senza una precisa definizione. Anzi si può definire quello di Hugo De Ana quasi un puro gioco estetico utile per definire spazi di azione e quei pochi movimenti scenici permessi nonché definiti dalla trama. Ineccepibile la gestione musicale sotto la direzione musicale di Donato Renzetti che ha permesso una lettura senza affanno ma ricreando lo slancio dello stile compositivo della complessa partitura belliniana offrendo equilibrio tra la buca orchestra e il complesso vocale chiamato a sostenere la complessità vocale che Bellini richiede ai suoi interpreti. Vocalità al limite, come per il tenore per la parte di Fernando, che richiede tecnica, acuti e sopracuti e che Giorgio Misseri è riuscito a condurre in porto con dignità e qualità al limite delle sue capacità intrinseche per le parti più ardite mentre più risolutivo nelle situazioni più di canto spiegato ed eroico. Ben strutturato nel ruolo di Filippo il basso Nicola Ulivieri, che con una lunga pratica nei ruoli eroici del belcanto riesce a definire, con il suo canto ricco e brunito, le ampie sfumature della parte che richiedono cura nel fraseggio, nonché capacità attoriali. Entrando subito in parte con la sua aria di ingresso Ah no, si lieta sorte, di anomala lunghezza e soprattutto ricca di agilità per quel tipo di registro ha gestito senza alcuna fatica il suo ruolo che richiede una costante presenza in palco in molteplici situazioni. Protagonista femminile il soprano Salome Jicia che certamente ha offerto una interpretazione ispirata riuscendo a trarre vantaggio nella parte più acuta della parte, come nel complesso del canto più struggente e lirico che raggiunge il culmine nella scena Sorgi, o padre. Ma la sua caratteristica vocale, una voce non particolarmente morbida, presta il fianco a difficoltà nel fraseggio e nelle incursioni verso le parti più basse della scrittura, come poca incisività nel sostenere il ritmo del grande concertato finale del Atto I. Il resto del cast, che richiede 3 bassi, era completato dal basso Alessio Cacciamani, lo spodestato duca Carlo, che ha reso la sua cavativa Da gelito sudore con buona padronanza espressiva, come corretto e attento il Clemente del basso Giovanni Battista Parodi. Risolutive le parti di fianco di Viscardo con Elena Belfiore, e la Eloisa con Carlotta Vichi, limitata al pertichino della scena con Bianca, Sorgi o padre e Uggero con Antonio Mannarino. Il coro relegato nella parte alta della scena ma non per questo marginale al contesto della opera diretto dal maestro Francesco Aliberti con l'intervento del secondo atto Tutti siam? che Bellini ricollocherà in Norma, ci ha proiettato nella memoria delle melodie universali del genio catanese. Successo pieno e convinto nei confronti tutti i protagonisti del progetto da parte di pubblico, vario per età, a cominciare da giovanissimi, che ha vissuto la serata come un evento: ha accolto la produzione con entusiasmo richiamando più volte gli artisti alla ribalta. Si spera che questo entusiasmo possa ripetersi per le repliche, che si presentano con ampie disponibilità anzi troppe, di posti.

Federica Fanizza

Ultima modifica il Mercoledì, 24 Novembre 2021 09:40

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