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BARUFFE (LE) - regia Damiano Michieletto

"Le Baruffe", regia Damiano Michieletto. Foto Michele Crosera "Le Baruffe", regia Damiano Michieletto. Foto Michele Crosera

musica di Giorgio Battistelli
libretto di Giorgio Battistelli e Damiano Michieletto
su libero adattamento de Le baruffe chiozzotte di Carlo Goldoni
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
direttore Enrico Calesso
maestro del Coro Alfonso Caiani
regia Damiano Michieletto
scene Paolo Fantin
costumi Carla Teti
light designer Alessandro Carletti
projection designer Sergio Metalli
regia del suono Davide Tiso
movimenti coreografici Thomas Wilhelm

Padron Toni Alessandro Luongo
Checca Silvia Frigato
Madonna Pasqua Valeria Girardello
Lucietta Francesca Sorteni
Titta-Nane Enrico Casari
Beppo Marcello Nardis
Padron Fortunato Rocco Cavalluzzi
Madonna Libera Loriana Castellano
Orsetta Francesca Lombardi Mazzulli
Padron Vicenzo Pietro Di Bianco
Toffolo Leonardo Cortellazzi
Isidoro Federico Longhi
Il comandador Emanuele Pedrini
Canocchia Safa Korkmaz
Venezia, Teatro La Fenice, 26 febbraio 2022

www.Sipario.it, 28 febbraio 2022

Risse di paese, liti esacerbate dal vento di scirocco che in Adriatico confonde le menti ed esaspera gli animi, piccole guerre rispetto ai venti di guerra che spirano nel centro d'Europa in queste ore e che il minuto di silenzio in rispetto delle vittime della guerra in Ucraina fatto osservare dal Teatro La Fenice all'inizio dello spettacolo, ci ha fatto rammentare. Le baruffe è l'ultima composizione di teatro musicale di Giorgio Battistelli, prossimo Leone d'Oro alla carriera che gli verrà conferito dalla Biennale di Venezia durante il 66° Festival Internazionale di Musica Contemporanea "per il suo lavoro di teatro musicale sperimentale". Musiche su libretto scritto in collaborazione con il regista veneziano Damiano Michieletto come opera commissionata dalla Fenice di Venezia per celebrare i sessant’anni della storica casa editrice Marsilio Editori, e inserita come spettacolo del periodo di Carnevale 2022. Omaggio al genius loci veneziano, a quella capacità del commediografo Carlo Goldoni che riuscì nel 1762 a portare in scena l'anima popolare e proletaria della Serenissima attraverso le vicende umane del borgo marinaro di Chioggia nella loro parlata, che appare fin dai versi di introduzione del coro che parlano di pesce, di insulti, di vento. Si tratta di uno spettacolo corale con protagonisti il complesso dei personaggi già ben definiti nella trama originaria goldoniana e qui giocate come affresco epico popolare con un libretto che ha mantenuto, seppur condensato in un atto unico, l'originale impianto della commedia goldoniana. L’innesco dei numerosi conflitti è una fetta di zucca arrostita, che il battelliere Toffolo offre a un gruppo di donne. Fra queste c’è anche Lucietta, promessa al pescatore Titta-Nane. Le chiacchiere e le schermaglie amorose degenerano rapidamente in ripetuti scontri, e che solo l’impegno ostinato di Isidoro, coadiutore del cancelliere criminale, riuscirà a riportare pace nelle coppie scoppiate, che si ricomporranno nell’immancabile lieto fine. Punto di partenza del progetto di questa opera musicale è la restituzione ritmica della parlata popolare dialettale chioggiotta, come la propone il testo originale di Goldoni, una parlata che ha una sua specifica asprezza rispetto alla cadenza veneziana: una scelta che viene a definire una precisa drammaturgia fatta di dialoghi serrati e concitati tra i personaggi in scena con inserimenti corali che la musica di Battistelli esaspera adoperando assonanze quasi ritmiche all’incessante cadenza del testo. Non esiste una struttura melodica ma azioni sonore che ricostruiscono sensazioni ambientali, come il sommesso mormorio iniziale che ripete il diffuso chiacchiericcio di strada. Non si parla o si canta d'amore: la voce del canto non offre spazi alla melodia ma sono usate tecniche vocali che vanno dallo Sprechgesang, alla declamazione intonata, che nelle parti femminili richiedono per i rispettivi registri (contralto e soprani) ampie estensioni. Certo c'è da chiedersi se una tale scelta di scrittura riesca a caratterizzare psicologicamente i personaggi, mancando una personalizzazione musicale che vada oltre al registro vocale dei personaggi. Del resto l'asprezza musicale ci restituisce un ambiente essenzialmente violento che solo a stento si riesce a contenere, dove domina l'uso delle percussioni, frammenti armonici prodotti dagli archi che si alternano al blocco dei fiati. Ma con attenzione si riescono a percepire isole armoniche e melodiche, in quei momenti di sospensione della tensione drammatica che preludono all'ingresso degli assiemi e ai cambi quadri, come per la descrizione dell'ambiente fisico, della bruma che pervade e si proietta sul palcoscenico. Spettacolo che nel suo complesso risulta ben strutturato dalle scelte di Damiano Micheletto, coautore del libretto stesso e quindi pienamente partecipe di quanto pretende dall'impianto scenico e registico che restituisce una impostazione di teatro di prosa alla messinscena, per l'essenzialità dei gesti teatrali e per la capacità di muovere il gruppo come identità. Considerato regista al limite per le sue performance sceniche che destrutturano le trame dei libretti, queste sue Baruffe, esprimono una completa coerenza tra testo e musica, definendo nei gesti dei singoli personaggi quello spazio di identificazione che la musica non concede a loro. Non esiste spazio ad una possibile comicità che invece penetra il testo goldoniano, i personaggi si muovono in un contesto da dramma collettivo, amplificato da una concezione scenica (curata da Paolo Fantin) quasi vuota con pareti di legno che si muovono creando vari ambienti, strutture di legno che, smontate in assi, si trasformano in armi da battaglia, come strumenti che rinforzano l'azione delle percussioni orchestrali. Ben riuscite infatti, le scene d'assieme caratterizzate da una gestualità esasperata dei movimenti dei corpi preparati da Thomas Wilhelm che hanno saputo ricostruire le scene di lotta con molta efficacia e essenzialità. Come il lavoro del light designer Alessandro Carletti, assieme a Sergio Metalli, projection designer, che hanno restituito un'ambientazione fosca e brumosa di questo mare Adriatico dominato dal vento di scirocco, simboleggiato dai tre ventilatori incombenti in scena. Costumi austeri e popolari di Carla Teti che riportano ad una collocazione in un tempo passato dove è solo l'abito del coadiutore di giustizia, con tanto di parrucca, che ci ricorda l'ambientazione originaria di un settecento senza leziosità, con una gerarchia proletaria marinaresca ben strutturata, tra capibarca, pescatori, pescivendoli, fatta di organizzazione in clan famigliari che determinano la sopravvivenza economica della comunità. Per quanto riguarda il canto, successo pieno dei 14 solisti, che poteva contare su alcune punte di eccellenza con Padron Toni di Alessandro Luongo e Isidoro, coadiutore di giustizia, di Federico Longhi, con il comparto femminile (Silvia Frigato, Francesca Lombardi Mazzulli e Francesca Sorteni tra tutte, con Valeria Girardello e Loriana Castellano) che ha avuta una resa più omogenea rispetto al gruppo maschile (Enrico Casari, Marcello Nardis, Rocco Cavalluzzi, Leonardo Cortellazzi, Emanuele Pedrini, Safa Korkmaz), determinata proprio da una diversa scrittura vocale. Al direttore Enrico Calesso il merito di aver gestito il tutto puntando sulla difficile resa del fraseggio senza calcare la mano sull'asprezza della composizione, assieme al Coro del Teatro La Fenice, per la prima volta preparato da Alfonso Caiani. Successo pieno e partecipato del pubblico della rappresentazione pomeridiana in pieno periodo di Carnevale, giornate di una ritrovata festa e divertimento.

Federica Fanizza

Ultima modifica il Sabato, 05 Marzo 2022 09:07

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