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Corriere Lombardo, 9 aprile 1956

Classico avanti Cristo Sabato sera. O Roma, o morte, proclamò Garibaldi ai suoi tempi, da tutti i balconi ai quali si affacciò, come resta documentato da tante lapidi incollate ai muri delle vecchie case. "O classici, o morte", sembrano proclamare da ogni ribalta di cui riescono ad impossessarsi, i Piccoli Teatri – e anche le altre compagnie, ohimè! – Perché i padroni dei teatri non si mettono a seguire l'esempio dei proprietari edili del Risorgimento dedicando acconce memorie marmoree alla resurrezione di tutte queste codeste venerande reliquie? Oggi, per esempio, potrebbe figurare, nell'atrio o sulla facciata dell'Odeon, una lapide del seguente tenore: "A dì otto aprile 1956, su questo palcoscenico, il Piccolo Teatro di Genova, con ardita intuizione di pioniere e rivoluzionario ardimento innovatore, rappresentava l'Anfitrionedi Plauto, aprendo nuove vie all'avvenire del teatro contemporaneo e consentendo all'attore Enrico Maria Salerno, infreddolito e mingherlino, ma agile e ben proporzionato, di recitare quasi nudo, rischiando di prendersi una polmonite ma guadagnandosi un applauso a scena aperta, di origine e significato rimasti misteriosi. A perenne memoria il proprietario pose".

Visto e considerato che niente altro come i classici procura fama di cultura e sovvenzioni governative, perché arrestarsi, in questa ardita marcia indietro, a due, tre, quattrocento anni, e spigolare in campi largamente mietuti, quando si può addirittura saltare al di là dalla nascita di Nostro Signore? Detto e fatto. E così siamo a quella che si dice una "importante ripresa" di duemila e duecento anni fa. Eh, che colpo!?

Esaurito il nostro sfogo ormai rituale, eccoci qui a fare il nostro dovere dicendo ogni bene possibile e diplomaticamente opportuno all'autore della commedia, della regia, della recitazione, delle scene e dei costumi – un po' meno – e, soprattutto, della traduzione e riduzione spiritosamente spregiudicate e maliziosamente anacronistiche, principali responsabili dell'ilare successo. Che volete di più? Bisogna pure portare la propria pietruzza al tentativo di far andare la gente a teatro. Guardiamoci negli occhi, lettori carissimi – si fa per dire –. E' domenica, il giorno in cui si riposò anche Domineddio, e a me tocca star qui a parlarvi di Plauto. Veniamoci incontro. Non pretendete, voglio dire, che vi parli della commedia greca o romana, del vigoroso e sensuale realismo dello schiavo Plauto, di tutte le sue invenzioni comiche che hanno alimentato due millenni di teatro, dei suoi plagi della commedia greca, dell'importanza del mimo nei suoi copioni; e, nel caso specifico, di tutti i possibili ed immaginabili rifacimenti, in prosa, in versi, in musica, sotto tutti i cieli o in tutte le favelle che, da lui, attraverso Molière e fino a Giraudoux, ebbe la favola di Anfitrione. Non basterebbe da sola, una pagina intera del giornale. E, del resto, anche il più modesto dizionario enciclopedico, non escluso il Nuovissimo Melzi, è in grado di accontentarvi. Non c'è nulla alla portata di tutte le tasche e sotto gli occhi di tutti come la cultura spicciola e la erudizione mnemonica. "lascia o raddoppia" e i direttori dei Piccoli Teatri ne sono l'esempio più probante.

Beh, sapete com'è. Anfitrione, atletico generale tebano, ha abbandonato la sua amata e amante consorte Alcmena, per non mancare all'appello della solita guerra espansionistica e non essere assente in prima fila al momento della distribuzione delle medaglie. Frattanto, Giove, sonnecchiante al fianco della non inedita consorte Giunone, gettando con noncuranza sulla terra il suo sguardo da vecchio viveur, ha scorto la bella donnina sospirosa e sola nel gran letto matrimoniale, ed ha deciso di piegarla alle sue volontà. Una parola: la fedelissima Alcmena è una fortezza inespugnabile, che non intende, per alcuna cosa al mondo, abbassare il ponte levatoio altro che per il ritorno del suo sposo. Facendosi aiutare da quel birbante ruffiano che è Mercurio, suo divino rampollo, il padre degli dei per niente preoccupato di degradarsi al rango del personaggio di una pochade, ricorre alle risorse della truccatura e del travestimento e assume le sembianze dell'assente Anfitrione. Accade così che la candida signorina Valeria Valeri, senza venir sfiorata nemmeno dall'ombra di un sospetto, accoglie nel suo talamo Annibale Ninchi, persuasissima di tenere fra le braccia il giovane attore Bardellini. Sono i misteri della guerra. E del repertorio classico.

La maggior parte di voi ha fatto il liceo e Plauto lo conosce, gli altri sono abbastanza grandi per immaginare il seguito: ritorno dell'autentico Anfitrione, equivoci, scambi di persona – raddoppiati, fra l'altro, nelle situazioni fra il servo del generale e Mercurio che ne ha assunto l'aspetto e le veci – stupori di Alcmena, scenate di gelosia, e, alla fine, l'infortunio coniugale accettato di buona grazia trattandosi di aver fatto un favore al re degli dei; e l'annuncio di un parto gemellare dal quale nascerà il semidio Ercole che inizia, come sapete, fin dalla culla i suoi esercizi di forza strangolando due serpenti incolpevoli che si trovavano a passare di lì per caso.

La commedia, salve larghe zone di stasi negli atti centrali, è ancora agile e divertente ed ha almeno due scene dalla comicità irresistibile: quella fra Mercurio e il servo che si trova raddoppiato nel dio, e quella fra Alcmena e Anfitrione geloso. Manca, com'è naturale – ma fino a un certo punto – qualsiasi fierezza o autentica interiorità al personaggio di Alcmena, ma la macchina farsesca è ancora ben funzionante, e lo si è visto dal successo conseguito.

Voi vi domanderete come mai abbia avuto tanta fortuna nei secoli, e l'abbia tuttora, questa storia, per quanto salace, in fondo meccanica e ingenua. Forse soltanto perché è una storia di corna e di cornuti, raccontata a bocca piena e a risate sganascianti. E non trascurate nemmeno la circostanza che essa si vale di una delle situazioni fondamentali e forse insostituibili del teatro comico: quello dei sosia, dei menecmi, i gemelli, indistinguibili l'uno dall'altro.

Personalmente, vi dirò, a me interessa perché, con quel continuo dubbio oggettivo e anche soggettivo sulla consistenza della propria personalità, per quel non riuscire a poter distinguere fra l'essere e il sembrare, in quel ricorrente gioco delle parti, ci trovo – pensate un po' – una sorta di pirandellismo surreale in anticipo di duemila anni.

Del regista Edmo Fenoglio ebbi già occasione di dire bene l'anno passato dopo Morti senza sepoltura. Sono lieto di poter tornare a dirne bene oggi, e ancor di più. Se Dio vuole, egli ha respinto ogni rispetto e ogni impaccio culturalistico, filologico e accademico. Ha preso il testo per quello che è: una macchina per far ridere, e, in un tessuto di mimica, mobile e movimentata agilità, funambolesca, ha incitato gli interpreti a divertirsi essi prima degli altri. Si è avuto così, da parte di Enrico Maria Salerno, un Mercurio, forse non nelle sue corde, ma volubile, estroso, con una punta di cinica crudeltà; di Valeria Valeri – nelle sue corde meno ancora – una Alcmena un po' gattina, però piena di grazia femminile; e del resto non avrebbe potuto cavare di più; di Gianrico Tedeschi, un servo dall'estesa ed efficace tastiera buffa, di Bardellini, un aitante, energico e clamoroso Anfitrione, però curiosamente in anticipo sulla memoria di Vittorio Gassman, nella Rizzoli, nel Pincherle, nella Rossi tre vivaci e movimentati grega? Cito ultimo perché sia ricordato per primo, Annibale Ninchi. Un Giove distaccato e ironico detto con l'autorità, la precisione, l'eleganza di una dizione e di una voce esemplari.

Ma, prima di congedarmi da voi, devo dirvi tutto il bene possibile della spregiudicata e provocante traduzione e riduzione di Cesare Vico Lodovici le cui libertà possono dispiacere solo ai codini di una malintesa intoccabilità del passato, non certo a chi tenga per primo dovere, anzi necessita, della scena, trattisi di copioni, trattisi di esecuzioni, un continuo aggancio con la realtà attuale.

Carlo Terron

Ultima modifica il Martedì, 09 Dicembre 2014 00:05
La Redazione

Questo articolo è stato scritto da uno dei collaboratori di Sipario.it. Se hai suggerimenti o commenti scrivi a comunicazione@sipario.it.

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