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MALLOPPO (IL) - regia Francesco Saponaro

Scena di gruppo in “Il malloppo” in prima nazionale al festival di Borgio Verezzi. Foto Luigi Cerati Scena di gruppo in “Il malloppo” in prima nazionale al festival di Borgio Verezzi. Foto Luigi Cerati

di  Joe Orton
Regia: Francesco Saponaro
interpreti Gianfelice Imparato, Marina Massironi, Valerio Santoro, Giuseppe Brunetti e Davide Cirri
traduzione: Edoardo Erba
scene: Luigi Ferrigno
costumi: Anna Verde
luci: Antonio Molinaro
Produzione La Pirandelliana srl
Borgio Verezzi, Piazza S. Agostino, 15 -16 luglio 2023

www.Sipario.it, 17 luglio 2023

Il terzo spettacolo dell’importante rassegna  è la prima nazionale de Il malloppo (Loot), scritto nel 1965 da un drammaturgo satirico di grande talento e mordente vissuto  tra il 1933 e il 1967, anno in cui venne assassinato dall’amante.  I testi di Orton sono tesi a smascherare i perbenismi e i cliché della condizione borghese inglese degli anni Sessanta del ’900. Il copione allestito a Borgio Verezzi riassume due costanti del suo teatro: la violenza dell’azione e la finezza comica. Dopo le redazioni poco convincenti del 1964 e ’65, il successo della pièce si deve al regista statunitense Charles Marowitz che la fa debuttare il 29 settembre 1966. In quella stessa data ottiene il premio Evening Standart e quello della critica inglese per la migliore commedia della stagione, nonostante qualcuno avesse rilevato una tessitura a tratti meccanica.

La vicenda ha inizio col funerale della anziana moglie di McLeavy. La situazione presto si complica per l’invadenza di Fay, un’infermiera autoritaria e calcolatrice. La donna avverte il candido e ingenuo vedovo che entro pochi giorni dovrà sposarla, in quanto la defunta inopinatamente la ha nominata erede dei suoi beni.  Di lì a poco irrompe Hal, il figlio di McLeavy, che assieme all’amico Dennis, impiegato alle pompe funebri, ha fatto un fortunato colpo in banca. Gli autori del furto sognano di trascorrere notti meravigliose in una casa di piacere. I due decidono di chiudere nella bara le banconote rubate e mettere il cadavere imbalsamato  della defunta in un armadio. Quando il loro piano sembra avere un esito  felice a sparigliare le carte sopraggiunge Truscott, un personaggio che si fa passare per un impiegato del servizio idrico municipale. L’uomo, che alla fine si rivelerà essere un ispettore di Scotland Yard  costringe i due giovani ad allearsi con la trentenne infermiera, responsabile di avere  fatto morire in dieci anni sette mariti e  la signora McLeavy.  Poco dopo chiede di avere anche lui  una quota del danaro rubato. Tutti avranno  quindi una fetta del malloppo tranne il solo illuso e ingenuo, fautore della legge, McLeavy, interpretato con grande misura da  Valerio Santoro. Il personaggio viene tratto in arresto e, a quanto si dice, morirà presto in carcere.  Influenzato dalla tradizione grottesca inglese, il copione è folto  di impietose  frecciate polemiche alla coeva buona società  anglosassone. Nel contempo però, annota il regista ”anticipa i toni della cultura underground  e della rivoluzione punk”, come evidenzia  la scelta dei brani musicali  della fine degli anni ’ 70 che scandiscono il lavoro:  Patti Smith e  il gruppo Bauhaus. Gli attori, oltre   a non vanificare nessuna sfumatura del testo, rendono  accessibile al nostro pubblico  un lavoro altrimenti di ardua comprensione. Va precisato che Orton chiedeva ai registi dei suoi drammi una recitazione perfettamente realistica, insistendo sulla perfetta credibilità delle situazioni  drammatizzate, anche le più sconcertanti. Non a caso negli appunti di regia del 1967 Orton, autore che  scrive per gli attori, annota: “Ogni riga va recitata con disperata serietà e assoluta mancanza di qualsivoglia suggerimento umoristico”. E proprio  questo ha saputo fare la intelligente e rigorosa regia di Saponaro. 

   La platea ha apprezzato il sapiente concertato di dialoghi brillanti e caustici e in particolare ha applaudito ripetutamente le felici interpretazioni di Gianfelice Imparato e Marina Massironi, autentici mattatori della serata, cui sono affidati i ruoli di Truscott e dell’infermiera. In particolare il primo, investigatore infallibile e corrotto,  dai metodi brutali, ispirato a Sherlock Holmes e ad un sergente brutale e disonesto conosciuto dall’autore, è una sorta di Ubu o Vizio medievale. Incarnando la vanificazione del principio di autorità, si guadagna il favore dello spettatore risentito nei confronti dell’autoritarismo e delle sue mascherate.  Messo in scena con grande bravura e coraggio dal regista Francesco Saponaro, il testo è un bell’esempio di teatro scintillante,  percorso come è da continue battute che denunciano l’ipocrisia e il conformismo della società. L’opera riassume bene la maniera di fare teatro di Orton che Massimo Bacigalupo ha definito ortonesque,  aggettivo col quale si designa “uno humor nero farsesco e perverso che indulge senza batter ciglio al peggior gusto, un umore grottesco e paradossalmente innocente come quello mostrato a cospetto del cadavere della madre”. Poco oltre lo studioso afferma che il copione di Orton è una farsa nera che merita attenzione perché è “una macchina squisitamente teatrale (e metateatrale)” che fa la “parodia del poliziesco, della soap opera, della farsa alla Feydeau e, alla lontana, della tragedia macabra giacomiana”.  A mio parere, lo spettacolo della durata di un’ora e quaranta senza intervallo, presenta anche richiami a Shakespeare, Molière, Wilde e Pinter. Alcuni oggetti, ad esempio l’occhio di vetro e la dentiera del cadavere fantoccio, rendono bene la comicità surreale, anarchica e caustica che innerva, percorre e sostanzia  l’intero testo. Nel copione, caratterizzato dal sovrapporsi della storia di un funerale e quella di un colpo in banca, il congegno teatrale prevale sui contenuti e sui personaggi, che peraltro non sono mai sagome. Hal, il figlio adolescente di McLeavy e il suo cattivo compagno Dennis, sono interpretati  con mola bravura da Giuseppe Brunetti e Davide Cirri. Il testo,  una delle ultime prove di Orton, ha un dialogo serrato e scintillante  ed è pieno  di situazioni paradossali. 

Tra furti, omicidi, intrighi amorosi e indagini, annota il regista, “inizia una rocambolesca sequela di situazioni spassose e assurde, tipiche dell’umorismo nero britannico”.  Il rituale della celebrazione funebre e del matrimonio, il fideismo religioso, la legalità e la giustizia vengono spogliati del loro significato profondo, lasciando spazio ai desideri morbosi che le convenzioni  reprimono e tengono nascosti”. La pièce vista stasera è da ridere,  ma anche, dice il giovane Hal,  “un incubo freudiano” . 

Roberto Trovato

Ultima modifica il Martedì, 18 Luglio 2023 22:59

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