Studio su LE CINQUE ROSE DI JENNIFER
di Annibale Ruccello
Esercitazione del III anno del corso accademico di I livello in Regia
Allievo regista Enrico Torzillo
Supervisione artistica Arturo Cirillo
con: Paolo Madonna, Domenico Pincerno, Maria Grazia Trombino
Light Design: Pasquale Mari
Scenografia: Dario Gessati
Costumi: Maria Sabato
Composizioni originali di: Riccardo Ranzani
Coreografie: Elisabetta Mandalari
Supervisione canora: Joana Estebanell Milian
Assistente alla regia: Maria Vittoria Perillo
Trucco e parrucco: Anna Fontana
Direttore di scena: Alberto Rossi
Sarta di scena: Loredana Spadoni
Fonico: Laurence Mazzoni
Assistente compositore: Sevjiddulam Erdene-Ochir
Assistente costumista: Flavia Andreozzi
Creazione scenografica: Alessandra Solimene
Sartoria: Il Costume
Foto di scena: Manuela Giusto
Foto di locandina: Vincenzo Palladio
Roma – Teatro Duse 16-18 giugno 2023
Annibale Ruccello con Le cinque rose di Jennifer ha scritto uno dei testi teatrali più raffinati sulla solitudine. E, proprio per questo, anche difficile da rappresentare. Non solo perché si rischia di scadere nel retorico e nel più stinto dei cliché. Ma perché quello del sentirsi soli è il sentimento più indagato e rappresentato nell’arte tout court. Bisogna, quindi, trovare un modo per essere originali ma non del tutto distaccati da una certa tradizione poetica. In tal senso Enrico Torzillo, che ha firmato la regia di questa nuova versione della pièce di Ruccello andata in scena al Teatro Duse, si è comportato con estrema intelligenza e raffinatezza. Da un lato ha affrontato senza mezzi termini la solitudine del personaggio principale: il travestito Jennifer che nel suo monolocale di Napoli attende invano la telefonata di Franco e in questo snervante e triste aspettare consuma attimi di vita giungendo, nel finale, alla disperazione assoluta e irrimediabile che rifiuta la consapevolezza che, forse, questa desiderata chiamata non arriverà mai. Torzillo accentua questa percezione di solitudine e isolamento decidendo di rappresentarla con ironia, leggerezza e per contrasti. Un personaggio simile, difatti, dovrebbe vivere in un appartamento dimesso in tutto e per tutto. E invece la scena che si presenta, benché essenziale, è colorata in modo kitsch. E questo contrasto non fa che accrescere la tristezza di Jennifer. Per non parlare dei vestiti da lei indossati: colorati anch’essi in modo troppo vistoso. Solo le luci sembrano ricalcare le tonalità emotive del personaggio di Ruccello: sempre tendenti alla penombra. Raramente vi è un raggio di sole che, entrando da una finestra, rischiara l’ambiente così donando vivacità all’insieme. Venendo alla recitazione di Paolo Madonna: la sua è una Jennifer che si avvoltola nella disperazione. È consapevole che nessuno potrà mai bandire quella solitudine che è un veleno che la tiene in agonia a piccole dosi, come un parassita che sugge sangue poco alla volta senza uccidere l’organismo ospite. Eppure, non riesce a farne a meno. È una sorta di droga che la tiene in vita nell’attesa che prenda la decisione delle decisioni: il suicidio. Madonna ha reso questo complesso lavorio interiore con una recitazione che, sia vocalmente che mimicamente, tendeva a trattenere impeti passionali: mani e braccia che continuamente cingevano il corpo e si toccavano il viso, come a limitare lacrime e singhiozzi di dolore. Movimenti che somigliavano ad atti di liberazione da catene immaginarie che mai lasciano la presa. Sguardi trasognati mai lucidi perché velati da lacrime. Una voce perpetuamente strozzata che mai esplode in grida di dolore. Un’interpretazione raffinatissima. Di portentosa bravura. Come bravissimo si è dimostrato Domenico Pincerno, la cui Anna così aggressiva e dall’apparenza inquietante, ha sfoderato, in conclusione, una tenerezza ed una dolcezza davvero incantevoli. Che attori! Che regia! Che meraviglia di spettacolo! Pierluigi Pietricola