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DON CHISCIOTTE AD ARDERE - regia Marco Martinelli e Ermanna Montanari

"Don Chisciotte ad ardere", regia Marco Martinelli e Ermanna Montanari. Foto Marco Caselli Nirmal "Don Chisciotte ad ardere", regia Marco Martinelli e Ermanna Montanari. Foto Marco Caselli Nirmal

Cantiere Malagola
Opera in fieri 2023
Ideazione e regia Marco Martinelli e Ermanna Montanari
In scena Ermanna Montanari, Marco Martinelli, Alessandro Argnani, Roberto Magnani,
Laura Redaelli, Marco Saccomandi, Fagio e le cittadine e i cittadini della Chiamata Pubblica
Guide Cinzia Baccinelli, Alice Billò, Vittoria Nicita, Marco Saccomandi, Marco Sciotto, Anna-Lou Toudjian
Musiche Leda, commissione di Ravenna Festival, Serena Abrami voce/synth,
Enrico Vitali chitarre, Fabrizio Baioni e Paolo Baioni batteria/impulsi e segnali metallici, Giorgio Baioni basso
Sound design Marco Olivieri
spazio scenico Ludovica Diomedi, Elisa Gelmi, Matilde Grossi
disegno dal vivo Stefano Ricci
costumi Federica Famà, Flavia Ruggeri
disegno luci Luca Pagliano, Marcello Maggiori
direzione tecnica Luca Pagliano, Alessandro Pippo Bonoli e Fagio
Coproduzione Teatro delle Albe/Ravenna Teatro, Ravenna Festival e Teatro Alighieri con il contributo del MiC Progetti Speciali, media partner FILM TV.
A Palazzo Malagola di Ravenna, in prima nazionale il 5 luglio 2023 nell'ambito di Ravenna Festival

www.Sipario.it, 8 luglio 2023

Il Don Chisciotte è un grande romanzo 'mondo', ovvero un'opera-mondo come la definiscono giustamente i drammaturghi, e come ogni (romanzo) mondo ha bisogno, al pari del divino, dell'uomo e della donna che lo abitano per esser(ne) riconosciuto, anche quando e dopo che questo uomo e questa donna siano stati espulsi dal 'Paradiso'.
Credo sia questa l'intuizione che ha condotto Marco Martinelli e Ermanna Montanari, e con loro le “Albe” tutte, ad incrociare il fortunato romanzo di Miguel de Cervantes dopo l'eperienza trina con il capolavoro di Dante Alighieri, che è, come questa opera cardine del Siglo de Oro del barocco iberico, anch'essa paradossalmente, pur essendo entrambe programmaticamente 'commedie' “non nate per la scena”, dalla struttura intimamente generatrice di immaginazione e dunque immediatamente drammaturgica.
Lo fanno infatti con il medesimo strumento, che è insieme integralmente estetico e integralmente politico, quello della “chiamata pubblica”, il modo da loro e da tempo praticato per andare oltre il semplice teatro 'partecipato', chiamando cioè il cittadino che partecipa non come un consueto spettatore che ha semplicemente cambiato posizione o prospettiva, ma come una sorta di miccia per riaccendere il sempre dionisiaco fuoco esplosivo di un'opera che è essenziale, innanzitutto per il mondo.
Don Chisciotte e Sancio Panza, come Dante e Virgilio, hanno bisogno degli uomini e delle donne che transitano nello spazio e nel tempo del nostro esserci dopo il paradiso, perchè altrimenti loro non esistono se non vengono 'riconosciuti', sono solo segni neri su un libro chiuso in una biblioteca, e noi non abbiamo consapevolezza di noi stessi se non li 'riconosciamo'.
Come per il saggio stoico dei dialoghi di Lucio Anneo Seneca, in fondo operare secondo etica è sempre 'fecondo' anche in un mondo che appare votato al male.
Così, con la loro drammaturgia, Martinelli e Montanari tentano di trasformare la 'potenza' di quella narrazione nell'atto' della sua rappresentazione, e immergono il viaggio immaginario e passato nelle terre aride di Spagna nel qui e nell'ora del tempo presente di un teatro itinerante, che si snoda al cospetto di una città che spera di tornare ad essere comunità.
Però se il 'modo' drammaturgico è analogo, con il Don Chisciotte il drammaturgo in coppia sceglie un registro diverso, il registro comico, laddove questo è in grado di contenere in sé metafisica e realtà, slanci ideali ed esigenze concretamente materiche che formano l'essere umano che, in quanto essere umano, partecipa dei due mondi e li mescola creativamente dando con l'uno senso nuovo all'altro e viceversa. Un po' come nell'Aristofane di Acarnesi che la 'non scuola' delle Albe tenta audacemente con gli adolescenti dell'hinterland partenopeo.
Ma ciò che più emerge in questo attivarsi di energie e di suggestivi e reciproci messaggi, tra opera e spettatore 'chiamato', come tra Divino e Umano, che danno a ciascuno una legittimazione oltre la stessa esistenza che non conquisterebbero altrimenti, non è l'aspetto sociale quanto, appunto, quello latamente religioso.
È un rito innanzitutto laico, dunque, in cui, come scrivono i drammaturghi, anche “l'ateismo non è che una variante del dibattito sull'invisibile”; è il tentativo appunto di rendere di nuovo visibile ciò che è, o meglio è diventato, invisibile in questa nostra Società che in fondo ha dimenticato man mano sé stessa, dimenticando ciò che l'ha generata e alimentata.
Un teatro a 'stazioni', prima nel chiuso di Palazzo Malagola poi nella dimensione aperta del suo giardino, che cerca di dare a ciascuno (personaggi e attori che siano) il giusto, un guardare un po' più in là, affacciati al balcone di una possibile felicità che renda la realtà, impregnata di quella immaginazione visionaria che è negli occhi del Cavalliere della Mancia, più realmente vera e sincera.
Martinelli e Montanari sono, dentro a questo itinere, due maghi d'occasione (Marcus ed Hermanita), e del resto come non riconoscere in questo la dimensione stessa del teatro e del suo essere praticato, e il loro, infatti, è un fecondo innesto linguistico capace di tradurre e dunque travestire le sonorità del racconto nella dimensione di una persistente attualità.
Roberto Magnani/Roberto del Castillo e Alessandro Argnani/Aleandro Argnàn de Puerto Foras si caricano poi, nella stessa trasfigurazione onomastica, con bravura delle figure e delle personalità, straordinariamente nell'oggi, di Don Chisciotte e di Sancio Panza rispettivamente, con Laura Radelli/Laura Ross de la Briansa che sta al pari come dolce Dulcinea.
Chiudono il cast delle “Albe” Mario Saccomandi e, in una improvvisamente illuminante emersione dell'immagine sul suono, 'Fagio' che è un fantasmatico Orson Welles che, come noto tentò senza mai concluderla (fu poi in parte recuperata postuma da Jesus Franco) l'avventura della trascrizione cinematografica del Don Quixote.
Dietro a loro si affollano i cori, tra la tragedia antica e i misteri medievali che anticipano carnascialeschi ribaltamenti, dei cento e più cittadini e, infine, in un transito nel teatro di figura, burattini antichi (di proprietà della famiglia d'Arte Monticelli) e la marionetta della “Compagnia Drammatico Vegetale”.
Uno spettacolo ben riuscito nelle sue due ore di sviluppo, dai meccanismi estetici e rappresentativi ormai ben oliati, anche nell'armonico contributo della musica in scena di “Leda”, e a cui i bei disegni dal vivo di Stefano Ricci danno il consueto grande contributo figurativo, una conferma attesa della più recente, ma sempre coerente, evoluzione dello sguardo delle Albe che continua a girare ed agitare il teatro anche europeo.
È il primo momento di un progetto triennale che il prossimo anno vedrà la seconda tappa, stavolta itinerante nella stessa città.

Maria Dolores Pesce

Ultima modifica il Sabato, 15 Luglio 2023 10:41

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