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IDA DON'T CRY ME LOVE - di Lara Barsacq

"IDA don’t cry me love" di Lara Barsacq. Foto Stanislav Dobak. "IDA don’t cry me love" di Lara Barsacq. Foto Stanislav Dobak.

di Lara Barsacq 
Creazione e interpretazione: Lara Barsacq, Marta Capaccioli, Elisa Yvelin / Marion Sage
Costume design: Sofie Durnez
Light design: Kurt Lefevre
Musiche: Nicolai Tcherepnin, Claude Debussy, Maurice Ravel, Snow Beard, Tim Coenen, Lara Barsacq, Gaël Santisteva             
Produzione: Gilbert & Stock
Co-produzione Charleroi danse – Centre Chorégraphique de la Fédération Wallonie-Bruxelles and; Les Brigittines, Bruxelles (BE), con il supporto di: Fédération Wallonie-Bruxelles — Service de la danse, Wallonie-Bruxelles; International, Grand Studio and Réseau Grand Luxe
Al festival Gender Bender di Bologna, prima nazionale il 2 ottobre 2023

www.Sipario.it, 11 novembre 2023

Personaggio dimenticato dalla storia, e perciò degno d’attenzione, la russa naturalizzata francese Ida Rubinstein (1885-1960) rientra nell’indagine della coreografa Lara Barsacq verso il mondo dei Ballets Russes, e verso figure femminili innovative che, pur trascurate, hanno segnato la loro epoca e lasciato tracce importanti nell’arte. A Bronislava Nijinska era dedicato Fruit Tree (2021), e alla Ninfa di Mallarmé e Debussy del celebre Prélude à l'après-midi d'un faune, lo spettacolo La Grande Nymphe (2023), figura mitica dal corpo carnale che svanisce e riappare, incarnando il ritmo del desiderio erotico. Ida don't cry me love, creazione del 2019 su Ida Rubinstein, completa la trilogia. L’interesse di Barsacq per i Ballets Russes, nasce da un’antica parentela col pro-zio Léon Bakst - poliedrico artista e celebre scenografo e costumista della compagnia di Sergej Diaghilev – nel cui lascito figurativo è cresciuta. Partendo dalla storia, dalle tracce autobiografiche e dal materiale reale esplorato, Barsacq – con esperienze e formazione nella Batsheva di Ohad Naharin - ha voluto immaginare e ricostruire danze e metafore che riportino nel presente e alla memoria valoriale, l’importanza di personalità femminili cadute nell’oblio della storia. Rivoluzionaria è stata Rubenstein, icona di indipendenza ed emancipazione, donna visionaria del primo Novecento, libera e audace, attrice e pioniera della performance, provocatoria danzatrice dei Balletts Russes. Nello spettacolo Ida don't cry me love (al festival Gender Bender di Bologna), la coreografa francese Barsacq ne fa un manifesto di riflessioni femministe e queer, costruendo con altre due danzatrici - Marta Capaccioli e Elisa Yvelin - un patchwork di documentazione d’archivio – aneddoti, racconti, disegni, rari filmati e foto di scena -, traslato ed espresso attraverso uno spettacolo che ingloba, accanto a liberi movimenti di danza, momenti di recitazione e performance, video e musica. Ricostruisce il profilo dell’artista raccontandolo al microfono e proiettando su uno schermo la sua biografia, e soprattutto con una serie di azioni, costumi e oggetti – gioielli, lustrini, mantelli - che supportano posture danzate e quadri gestuali. Riprodotti dalle tre interpreti, ricalcano l’iconografia coreografica, all’epoca foriera di nuovi codici espressivi. Sullo sfondo di un arazzo liberty, esse si muovono insieme, tra ironia e giocosità, intrecciando passi e braccia, assumendo pose simboliche, improvvisando assoli, citando così alcuni ruoli da Ida interpretati: come Cleopatra, la fatale regina della coreografia di Mikail Fokine, ruolo che, nottetempo, rese Rubinstein, nel 1909, una star; il celebre Bolero, musica da lei commissionata a Maurice Ravel per la sua compagnia; la scandalosa Danza dei sette veli dalla Salomè di Oscar Wilde, in cui si denudò sconcertando il pubblico parigino; o, ancora, ne Il martirio di San Sebastiano di stilizzato modernismo - scritto appositamente per lei da Gabriele D’Annunzio e musicato da Debussy -, che fece scandalo per il ruolo maschile che assunse. Alla libera e dettagliata rievocazione di Rubinstein, Barsacq affianca, unificando il tema dell’emancipazione femminile, una parte più intima e famigliare raccontando di sé, e sollecitando anche le altre due danzatrici a condividere storie personali, amori finiti e scelte di vita. Si chiude lo spettacolo con la morte di Ida inscenando un semplice rito di celebrazione sul corpo sdraiato a terra mentre viene cosparso di gioielli. All’omaggio di Barsacq, che unisce passato e presente, avrebbe giovato una più consistente scrittura coreografica da tradurre in una più corposa danza, evitando così l’eccessivo didascalismo e la costruzione a quadri che penalizza lo spettacolo.

Giuseppe Distefano

Ultima modifica il Domenica, 19 Novembre 2023 17:31

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