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ZOMBITUDINE - di Frosini/Timpano

"Zombitudine" - regia Frosini/Timpano. Foto Manuela Giusto "Zombitudine" - regia Frosini/Timpano. Foto Manuela Giusto

di Frosini/Timpano
con: Elvira Frosini e Daniele Timpano
aiuto regia: Francesca Blancato
scene e costumi: Alessandra Muschella
assistente scene e costumi: Daniela De Blasio

disegno luci: Marco Fumarola, Daniele Passeri e Matteo Selis

luci: Martin Palma e Omar Scala
produzione: Compagnia Frosini/Timpano, amnesiA vivacE, Kataklisma
coproduzione: Teatro della Tosse, Fuori Luogo, Teatro dell'Orologio, Progetto Goldstein
con sostegno di: Teatro di Roma nell'ambito del progetto 'Perdutamente'
in collaborazione con: Romaeuropa festival
Roma, Teatro dell'Orologio, 12 novembre 2014

www.Sipario.it, 16 novembre 2014

L'attesa degli Zombi

Il sipario della sala Orfeo del Teatro dell'Orologio è chiuso quando il pubblico si accomoda in platea, si aprirà solo a pochi minuti dalla fine, quando Elvira Frosini e Daniele Timpano saranno stati definitivamente vinti dagli Zombi, saranno anche loro Zombi a tutti gli effetti, senza tema di smentita. A quel punto la scena sarà pressoché vuota, occupata solo da un fumo denso. Ma questo accadrà dopo, per quasi tutta la durata dello spettacolo, invece, gli attori sono al di qua della barriera di velluto che separa il mondo artefatto della rappresentazione da quello reale a cui appartengono gli spettatori. La famosa quarta parete immaginaria è, qui, di tessuto pesante e non divide le due metà del teatro; la prossimità degli attori e del pubblico preannuncia uno dei temi dello spettacolo: ogni distanza è stata annullata.
La vicenda-non vicenda di Zombitudine si svolge, dunque, nello stretto spazio del proscenio, poco più largo di un corridoio, poco più stretto della corsia di un ospedale. Le dimensioni di un luogo di transito che può all'occorrenza trasformarsi in luogo d'attesa. L'altro polo tematico è infatti proprio l'attesa. Un'attesa a tempo indeterminato che vuole essere metafora della condizione di impasse che viviamo nell'Italia di oggi. Anzi, molto più che un polo tematico: lo spettacolo non è che la messa in scena di tale attesa. Per questo la vicenda è non-vicenda: in scena, cioè in proscenio, non accade nulla. E se non c'è separazione fra le due metà del teatro è perché il luogo della rappresentazione corrisponde a quello degli spettatori, è una sala teatrale. Appena sistemati in sala, Timpano e Frosini ci informano che lì insieme a loro stiamo al sicuro, ma dobbiamo guardarci dagli Zombi fuori dal teatro, nelle strade, nelle banche, in tutti i luoghi pubblici e privati, ovunque. Siamo ben nascosti, ma non abbiamo nulla da fare se non aspettare. Cosa? Niente.
C'è attesa e attesa, e c'è modo e modo di metterla in scena. Questa di Timpano-Frosini purtroppo non somiglia a quella esistenziale di Beckett, piuttosto a quella vuota delle anticamere degli studi medici, delle lunghe ore di noia passate a navigare senza meta su internet. E se anche loro volessero significare proprio questo, e cioè che l'attesa che viviamo oggi non è quella angosciosa e tesa degli anni post-bellici, ma una tutt'affatto diversa, blanda e infeconda, allora avrebbero dovuto trovare un modo di "rappresentarla" invece che semplicemente "riproporla" in scena.
Barricati e al sicuro in teatro, assistiamo a questa attesa blanda, diventiamo "aspettatori". Elvira Frosini stessa ci ribattezza così, tra un tentativo e l'altro di prendere tempo: un'occhiata dietro il sipario per verificare che non ci siano Zombi infiltrati, braccia e mani a mo' di pistola per difendersi. Un paio di frasi dal velleitario accento politico. Un piccolo pasto frugale. Qualche invettiva contro questi fantomatici Zombi e la loro biancheria intima (pare) firmata. Qualche invettiva contro gli spettatori, perché forse qualcuno fra loro indossa mutande Calvin Klein... forse qualcuno di loro è già Zombi. Ed ecco che finalmente si insinua il dubbio, e fa spazio al tema capitale dello spettacolo: anche noi siamo Zombi, la distanza fra noi e loro è stata annullata. Un tema capitale che non è poi eccezionale: quello della (potenziale) identità fra Zombi e non-Zombi, vittime e carnefici è un corollario di qualunque storia e teoria sul tema. Né, uscendo di metafora, è così acuto il messaggio: la "società" ci schiaccia e mortifica i nostri sogni e le nostre ambizioni, ma noi la lasciamo fare e, anzi, nella commiserazione del nostro stato ci annichiliamo più di quanto la "società" non faccia.
Da Frosini e Timpano era lecito aspettarsi qualcosa di più.

Bruna Monaco

Ultima modifica il Domenica, 16 Novembre 2014 00:58

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