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ZOO - regia Sergio Blanco

Lino Guanciale e Sara Putignano in "Zoo", regia Sergio Blanco. Foto Masiar Pasquali Lino Guanciale e Sara Putignano in "Zoo", regia Sergio Blanco. Foto Masiar Pasquali

scritto e diretto da Sergio Blanco
traduzione Angelo Savelli
video Miguel Grompone
scene Monica Boromello
costumi Gianluca Sbicca
luci Max Mugnai
musiche e suono Gianluca Misiti
con Lino Guanciale, Sara Putignano, Lorenzo Grilli
aiuto regia Teresa Vila
preparazione vocale a cura di Laura Raimondi
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, al Piccolo Teatro Grassi, 29 marzo 2022

www.Sipario.it, 22 aprile 2022

Uno scrittore chiede di poter lavorare al fianco di un primate, in uno zoo. Quello scrittore è Sergio Blanco, interpretato da Lino Guanciale, ad assisterlo è la dottoressa Rozental, interpretata da Sara Putignano, nella gabbia c’è il grande gorilla, Tandzo, sopravvissuto all’Ebola che ha sterminato il suo branco… Il pubblico entra in sala e Lino Guanciale e Sara Putignano sono in scena, invitano gli spettatori a sedersi, a spegnere il cellulare, disvelano la finzione, dichiarano chi sono e il ruolo che interpreteranno. Lino racconta del figlio, dei primi dentini che escono. È lo stesso Blanco, in fase di prove, ad aver chiesto agli interpreti di apportare un contributo autoriale alla drammaturgia, e questo è valso anche per Lorenzo Grilli che sta dentro il grande corpo di Tandzo. Come sempre accade nella drammaturgia di Sergio Blanco racconto e messa in scena si disvelano, la finzione è dichiarata e vive in quel contesto che l’autore definisce autofinzione.
Blanco in Zoo, spettacolo scritto appositamente per il Piccolo Teatro di Milano, racconta di sé, racconta dell’esperimento di cercare una relazione con un gorilla, racconta del progetto di comporre un testo su Edda Ciano, dice e fa dire ai personaggi/attori del suo testo, di sé, in un continuo entrare e uscire dalla finzione, dalla messinscena. Cuore di Zoo è il rapporto che si crea fra Blanco/Guanciale e il primate, complice la bellezza, gli Impromptus di Schubert, gli incontri col primate. Lo scrittore racconta a Tandzo del Rosso e il Nero, della Primavera di Botticelli, della bellezza dell’arte, del film Tarzan, dell’arte e della letteratura, della musica come del cinema.
Il bellissimo Zoo di Sergio Blanco, pubblicato da Il Saggiatore (pagine 166, 15 euro), porta in scena varianti e invarianti della produzione dell’autore franco/uruguaiano: l’ossessione della paternità, la questione ebraica, la storia dell’olocausto, le relazioni fra sé e i personaggi, ma soprattutto – in questo caso – le emozioni che scaturiscono dalla finzione dell’arte che quando è autentica arte sa essere vera pur nell’atto della rappresentazione e quindi della finzione, della messinscena. Zoo – come i testi di Blanco – è un meccanismo perfetto di richiami, di intrecci, di parole che come una sorta di crocevia immettono in scenari e in digressioni improvvise che poi trovano un loro senso col prosieguo della storia e costringono lo spettatore a sinapsi di senso tanto inattese quanto stimolanti.
L’attrazione fisica fra Blanco e Tadszo, lo stupore per quest’innamoramento nato e scaturito dalla condivisione della bellezza si intrecciano con l’irrompere della figura di Edda Ciano in cui la vita esotica e fuori dagli schemi pretende di essere raccontata, l’origine ebraica della dottoressa Rozental, il lutto che l’ha colpita, la canzone degli a-ha, Take on me e il brano Wonderful life nella versione di Katie Melua. La macchina scenica messa in atto da Monica Boromello, i suoni e le musiche di Gianluca Misiti che scandiscono le parti del testo, insieme alle luci di Max Mugnai e al video di Miguel Grompone danno conto di una sorta di gabbia che è quella di Tadszo, ma è anche quella di chi sta in scena, è lo zoo permanente del nostro essere sempre e comunque attori di una storia che si compie fra verità e finzione, chiamati a rispecchiarci tutti nell’autofinzione di Sergio Blanco.
Per questo Zoo produce nello spettatore un’attivazione autoriale rispetto ai diversi, contrastati, paralleli punti di vista che attori, personaggi e autore esprimono in un gioco continuo di spiazzamento in cui al centro permane paura e attrazione per una relazione fra lo scrittore e il gorilla, relazione scaturita dal terreno fecondo della creatività artistica e della bellezza. In tutto questo i tre attori sono al servizio non solo del testo, ma dello spettacolo, ne sono parte, sono parte del tutto e il tutto si distribuisce nelle parti e così i denti del figlio di Lino Guanciale hanno un loro corrispettivo affettivo e drammaturgico nel dente di Tadzo che la dottoressa Rozental consegna a Sergio Blanco, dopo che il primate è stato stroncato dall’Ebola…

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Lunedì, 25 Aprile 2022 09:00

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