di e con Tindaro Granata
con le canzoni di Mina
ispirato dall’incontro con le detenute-attrici del teatro Piccolo Shakespeare all’interno della Casa Circondariale di Messina
nell’ambito del progetto “Il Teatro per Sognare” di D’aRteventi diretto da Daniela Ursino
disegno luci Luigi Biondi
costumi Aurora Damanti
regista assistente Alessandro Bandini
produzione LAC Lugano Arte e Cultura
in collaborazione con Proxima Res
partner di produzione Gruppo Ospedaliero Moncucco
Festival di S. Ginesio 2024
Chiostro Sant’Agostino 21 agosto 2024
Incontrare un mito, trasformarsi, vivere nella metamorfosi: questa la chiave su cui si sviluppa Vorrei una voce di Tindaro Granata. Spettacolo emozionante, di forte impatto emotivo, pieno di spunti di riflessione. Cos’è una vita depauperata del sogno, impoverita, addirittura, della possibilità di sognare? È qualcosa di più criminoso dell’uccidere una speranza sul nascere. Vorrei una voce non è solo il tentativo di Granata di restituire a sé questo diritto che circostanze individuali gli avevano sottratto, ma anche un’opportunità: quella che lui ha offerto alle detenute-attrici della casa circondariale di Messina di dare, o ridare, suono e sostanza a sogni da troppo tempo abbandonati in un angolo. Al di là di condizioni e vissuti diversi, col suo monologo Granata ha cercato somiglianze per comprendere cosa avesse portato queste donne a non avere più la loro libertà, tolta dalla sentenza di un giudice. Ma le sue intenzioni sono andate al di là di sbarre e celle. Proponendo un percorso teatrale, che ha poi portato alla realizzazione di uno spettacolo, le detenute hanno avuto modo di comprendere l’importanza di scegliere invece che essere scelte, di decidere invece di eseguire, di progettare invece di ricalcare percorsi stabiliti da altri. Come? Ascoltando brani di Mina, da eseguire in playback, ricercando in quelle parole e in quelle atmosfere risonanze con le proprie esperienze, superandole e considerandole chiuse per sempre. Per diventare, una volta finita la detenzione, persone radicalmente diverse. Non per cambiamenti di carattere, ma solo perché ora hanno finalmente capito cosa vuol dire sognare per crearsi da sé. Granata col suo laboratorio ha dato voce a queste speranze sopite, mute; ha estirpato dolori che come un basso continuo albergavano nei cuori di donne già sofferenti. Ma col suo spettacolo ha fatto di più: ha tramandato le loro storie, ognuna raccontata nel momento cruciale, che le ha condotte alla detenzione, permettendo al pubblico di percepirle nella loro umanità più profonda. In tal senso, sotto il profilo recitativo Granata è stato un interprete eccellente. Ogni donna è stata caratterizzata da un ritmo diverso, da un’intonazione vocale diversa, da un dialetto differente. Ad ogni storia è stata associata una specifica canzone di Mina in modo da far capire il tema al centro della singola narrazione. Con tutti questi elementi, Vorrei una voce è risultato essere uno spettacolo di fortissimo impatto emotivo, molto umano. Con una scena sobria composta da costumi messi su aste di microfono con sopra faretti rivolti verso il pubblico, Granata ha dato vita a un universo realistico non soffocante, tragico eppure a tratti ironico, claustrale per le circostanze di vita delle singole donne eppure così pieno di aperture e speranza. Questo fanno i miti: aprono al viaggio, portano ad approdi e invitano a ripartire. Situazione che Tindaro Granata ben conosce, che ha condiviso con le sue attrici e restituito al pubblico con dolcezza e delicatezza. Pierluigi Pietricola