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VIVA LA VIDA - regia Gigi Di Luca

"Viva la Vida", regia Gigi Di Luca "Viva la Vida", regia Gigi Di Luca

liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Pino Cacucci
Progetto, adattamento e regia: Gigi Di Luca
Interpreti: Pamela Villoresi
e con Lavinia Mancusi (Chavela Vargas, musiche di scena) e Veronica Bottigliero (La Pelona, body painter)
Scene: Maria Teresa D’Alessio
Costumi: Roberta Di Capua, Rosario Martone
Luci: Nino Annaloro. Assistente alla regia: Valentina Enea
Direttore di scena: Sergio Beghi
Realizzazione scene: Alovisi Attrezzeria
Parrucca Rocchetti in collaborazione con Accademia di Belle Arti di Napoli: Cattedra di Scenografia - Prof. Luigi Ferrigno
e Cattedra di Costume per lo spettacolo - Prof.ssa Zaira de Vincentiis
Produzione: Teatro Biondo di Palermo

Alla Sala Strehler del Biondo dal 4 marzo al 10 maggio 2020

www.Sipario.it, 10 marzo 2020

Il 17 settembre 1925 Frida Kahlo viene stuprata da un corrimano d’un tram. Il tubo di ferro le entra dall’anca destra e le esce dal canale vaginale strappandole il labbro sinistro. Ha 18 anni due mesi e 11 giorni Frida al tempo in cui un autobus, su cui viaggiava in compagnia del suo ragazzo Alejandro Gomez, si scontra con un tram rompendole il corpo. Questa la diagnosi dopo un anno dall’incidente: frattura della terza e quarta vertebra lombare, tre fratture del bacino, undici fratture al piede destro, lussazione del gomito sinistro, ferita profonda dell’addome, prodotta da una barra di ferro, peritonite acuta, busto di gesso per 9 mesi e completo riposo a letto per almeno 2 mesi dopo le dimissioni dall’ospedale. Frida sembra una sorta di scultura vivente effigiata più volte da lei in stile pop su alcune tele standosene distesa su un letto di spine. Un letto che nello spettacolo Viva la Vida, tratto dall’omonimo romanzo di Pino Cacucci in una suggestiva messinscena di Gigi De Luca nella Sala Strehler del Biondo di Palermo, completamente deserta per disposizioni ministeriali riguardanti il coronavirus e da me visto in streaming You Tube sul mio PC di casa, diventa una poltrona reclinabile d’una barberia d’antan (scena di Maria Teresa D’Alessio) sulla quale se ne sta seduta e/o distesa una nuda e ispirata Pamela Villoresi col seno in bella vista, parrucca nera con riga in mezzo incoronata da fili di lana bordeaux e un serto di rose d’identico colore, senza quelle sopracciglia nere che si s’infoltiscono già alla base del naso, calandosi nell’anima e nel corpo di Frida, sprizzando duende da ogni poro, catalizzando poesia, mistero, estasi e dolore e trasformando in energia erotica il racconto della sua singolare vita ricca di amori e di eventi artistici. Nella prima parte si vede la Villoresi di spalle con la sua immagine riflessa su un grande specchio e le sono accanto Thanatos ed Eros, raffigurate qui dalla Pelona di Veronica Bottigliero che le dipinge il corpo e dalla sua ultima amante Chavela Vargas qui nei panni di Lavinia Mancusi con chitarra in mano che per lei canta con voce canaille sensuali canzoni messicane. Più avanti Pamela Villoresi con la gamba destra fasciata si alza in piedi indossando una larga gonna e una camicetta-gilè (i costumi dai richiami etnici sono di Roberta Di Capua e Rosario Martone) continuando a raccontare con voce calda la sua rocambolesca vita accanto al gigantesco marito e pittore Diego Rivera, anarchico più che comunista, l’unico uomo da lei veramente amato nonostante le fosse infedele e forse per questo da lei ripagato con identica moneta, complici le sue scappatelle con amanti d’ambo i sessi, come il leader sovietico Lev Trotskij, la fotografa Tina Modotti, l’attrice Maria Felix che in un autoritratto della Kahlo è posta tra le sue sopracciglia e altre ancora. È incredibile come una donna minuta, fragile, con le ossa rotte come Frida Kahlo e quattro aborti alle spalle, ha potuto fare quello che ha fatto: dipingere senza sosta a letto e dove le pareva più opportuno, diventare un’icona dell’arte pop accanto ad Andy Warol, Basquiat, Keit Haring, Lichtenstein, gridare di dolore quasi fosse lei il personaggio dell’urlo munchiano, amare voracemente chi voleva senza limiti, ballare danzare cantare, sentire nei piedi i ritmi del flamenco e della cucaracha e nel cuore desideri rivoluzionari che diventavano realtà. Un anno prima di morire le viene amputata la gamba destra sino al ginocchio e l’anno successivo, nel 1954 si ammala di polmonite e muore per embolia polmonare la notte del 13 luglio, nella sua Casa Azul, sette giorni dopo il suo 47° compleanno.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Sabato, 14 Marzo 2020 23:22

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