Testo e regia Marco Cavallaro
con Marco Cavallaro, Stella Pecollo, Rosario Petix, Valentina Stredini
Scena LollozolloArt
Costumi Marco Maria Della Vecchia
Disegno luci Marco Laudando
Aiuto regia Stefania Bassino, Assistente Teresa Calabrese, Luci e fonica Cecilia Sensi
Macchinista Raffaele Pesante, Produzione esecutiva Lisa Bizzotto
Borgio Verezzi, piazza sant’Agostino, 5 luglio 2024
Prosegue con un’altra prima nazionale il LVIII Festival Teatrale di Borgio Verezzi e questa volta piazza sant’Agostino ospita un testo di Marco Cavallaro, Un amore di peso. I colori vivaci, le musiche, i continui cambi di scena, il ritmo incalzante, le battute sciorinate a raffica… tutto parrebbe indicare che ci si trovi dinanzi ad una rappresentazione allegra e divertita e tuttavia lo spunto da cui nasce il testo è quanto mai serio e la riflessione impegnativa. Su una scena dominata da una semovente e gigantesca fetta di torta stillante crema, si sviluppa e si intreccia la storia di quattro persone, differenti fra loro, ma accomunate dalla solitudine: Mario, cinico ed omosessuale, coltiva compulsivamente il gossip che riguarda gli amici ed ha una vita sentimentale tanto frammentata quanto intensa, fatta di incontri occasionali che si esauriscono nel mero rapporto sessuale. Giorgio, pubblicitario, è il più irrisolto dei quattro: vorrebbe dimagrire e mantenersi in forma fisica, ma è pigro; desidera forse tornare con Lara, ma è consapevole che il loro rapporto, in definitiva, non ha mai funzionato. Lara, dirige l’azienda in cui lavorano Mario e Giorgio: è la classica donna fisicamente perfetta, sportiva in modo ossessivo, ha un rapporto di amore e odio con il cibo, ha posto fine al rapporto con Giorgio, ma soffre la solitudine. Infine Clara, una donna sui trent’anni, con alcuni chili di troppo ma con i quali ha imparato a convivere, tuttavia, il suo aspetto fisico, le attira i commenti e le battute offensive della gente, provocandole sofferenza e impedendole di trovare un partner. Quattro stereotipi creati dalla società, quattro problematiche legate alla difficoltà di essere accettati poiché non conformi al canone della «normalità». La diversità, anziché essere valutata come ricchezza, diventa fonte di depressione, solitudine e inadeguatezza. Ognuno cerca di risolvere la propria situazione di disagio opponendo uno schermo, una corazza protettiva che mostra talvolta il lato più aggressivo con il risultato di allontanare le persone. Quando Giorgio incontra Clara e se ne innamora parrebbe allora che, per un istante, le barriere estetiche create dalla società possano essere finalmente infrante e la loro storia d’amore avviarsi sul binario della reciproca comprensione ed accettazione. Poi, complici i conoscenti, gli amici, le ex amanti, in una parola, le convenzioni cui ci obbliga la società, l’affetto di Giorgio inizia a vacillare, la battute acide, le allusioni, le seduzioni del cliché estetico impersonato da Lara, vanificano il suo sentimento per Clara che, seppur ancora innamorata, deciderà di lasciarlo. Il finale, lungi dall’essere consolatorio, ci riporta, con movimento circolare, all’inizio della vicenda: le quattro solitudini son rimaste tali, anche Clara, che rivolgerà con successo le proprie energie al mondo dei «social», ricavandone una certa notorietà, preferirà stare sola, assumendo come collaboratore l’altro «diverso», Mario, colui che forse, per esperienze pregresse, è stato in grado di comprenderne meglio le sofferenze. Gli altri tre acquisiranno, in compenso, una maggior consapevolezza dei propri errori, cominciando a prendere le distanze da certi pregiudizi, ed è forse un viatico ad un lento e progressivo cambiamento del punto di vista che dovrebbe diventare pratica condivisa. La riflessione di Cavallaro ci fa dunque comprendere come la strada verso l’accettazione reciproca sia ancora lunga e quanto rimanga difficoltoso rompere gli schemi che troppo spesso ci fanno prigionieri: intelligentemente, la soluzione non ci viene mostrata come se fosse a portata di mano, ma sottolinea come occorra invece un ripensamento profondo che, poco a poco, superi le schematicità imposte. Dal punto di vista scenico, lo spettacolo è una gioia per gli occhi: colori, luci, movimenti, costumi… tutto partecipa a dare un’impressione di dinamismo e di vitalità, sfociando, a tratti, in una citazione-parodia del vaudeville (interessante in tal senso la performance canora di Stella Pecollo). Il ritmo, a tratti scatenato, e che chiama attori e macchinisti ad un incessante lavoro, ottiene l’effetto di mostrare al pubblico lo specchio di una vita (la nostra) centrifugata, in cui manca la riflessione, ma dove tutto procede per frasi e pensieri preconfezionati, fino a concretizzarsi plasticamente nella scena convulsa dell’hotel in cui i quattro protagonisti diverranno, loro malgrado, dei cosplayer, vestendo i panni del medesimo personaggio. Ci è parsa una soluzione molto intelligente che pone i quattro (finalmente) sullo stesso piano, ma allo stesso tempo ne snatura l’identità e li uniforma a soggetti intercambiabili: maschere vittime dei propri stereotipi. I quattro attori (Cavallaro nel ruolo di Giorgio, Valeria Stredini in quello di Lara, Stella Pecollo nel ruolo di Clara e Rosario Petix che ha impersonato Mario), sono stati molto bravi, persuasivi nel rendere i rispettivi personaggi senza scadere nella volgarità o indulgere al macchiettismo (come troppo spesso si assiste, specie in programmi televisivi); hanno saputo imprimere un gran ritmo ad uno spettacolo di circa due ore che son trascorse in modo lieve e piacevole. Nello spettacolo risaltano, tra l’altro, un uso sapiente ed efficace delle luci, che si sono armonizzate alla perfezione con i complessi e, talvolta convulsi, movimenti scenici. La regia di Cavallaro, tutta giocata sul movimento e sul ritmo, è risultata impeccabile, così come convincente ci è parso anche il testo, della cui recondita profondità abbiamo detto, ma, al contempo, ricco di battute ed arguzie che hanno divertito il pubblico verezzino il quale ha tributato allo spettacolo un omaggio finale e ripetuti applausi a scena aperta. Mauro Canova