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UOMO DAL FIORE IN BOCCA (L') - regia Francesco Zecca

Lucrezia Lante della Rovere in "L'uomo dal fiore in bocca", regia Francesco Zecca. Foto Manuela Giusto Lucrezia Lante della Rovere in "L'uomo dal fiore in bocca", regia Francesco Zecca. Foto Manuela Giusto

di Luigi Pirandello
con Lucrezia Lante della Rovere
adattamento e regia Francesco Zecca
musiche originali Diego Buongiorno
disegno Luci Alberto Tizzone
props Arti Plastiche di Riccardo Morucci
aiuto regia Rebecca Righetti
Infinito Produzione Teatrale in collaborazione con Argot Produzioni
Cittadella (Padova), teatro sociale 14 e 15 maggio 2021

www.Sipario.it, 17 maggio 2021

Curioso e in un certo senso, sulla carta, da un lato irriverente e dall’altro ammaliante, questo monologo di Luigi Pirandello, adattato e “trasformato” per l’occasione, che riapre dopo tanto tempo il bellissimo Teatro Sociale cittadellese in un clima di grande attesa. Lo spettacolo si propone come uno sguardo da un altro punto di vista, quello della moglie del protagonista che qui è già sotto terra e riposa in pace. Il regista Francesco Zecca offre una visione nuova, che si addentra nei meandri della mente, dello spirito e del corpo della Donna, con la sua sofferenza, i ricordi passati, perlopiù un vedere cupo, ombroso che deve fare i conti con la morte naturalmente, e che quindi non può essere altrimenti. L’ambientazione si sposta da una stazione, quella originale del testo, che vedeva il bar della stessa location principale, a un cimitero, contornato di un nero profondo, nero come il vestito della donna che coi capelli raccolti, diafana, si contrappone a quell’uomo che il fiore in bocca ha annientato, colpito, fatto sparire dalla sua esistenza terrena. La protagonista, Lucrezia Lante Della Rovere è ben intrisa di un sentimento doloroso, scandisce bene parole e pensieri inerenti al suo caro consorte, ne analizza la vita e i momenti passati assieme, quasi in un tutt’uno con la morte, quando lei stessa è vita e morte. Che può accarezzare dolcemente ma che ricorda l’avvenuta tragedia spostando il baricentro della realtà, che oggi è lì, prima era da un’altra parte, vissuta, sognata, raccontata nel testo originale di Pirandello con ironia e meticolosa attenzione. Un esperimento, questo di Zecca, che merita molta attenzione perché si cala decisamente nel dramma, partendo dall’immaginazione, dal sogno onirico di ciò che ci attende tutti e non sappiamo come e dove. L’analisi della morte è ottimamente scritta, è un sentimento sconquassante che nulla può e deve ai vivi, e così è anche per questa donna alla quale rimane il ricordo impregnato e scavatore, fatto di mille sfaccettature, non consolatorio se non in termini minimi. L’attrice mette nella sua donna sospiri, frasi spezzate, addirittura una canzone di Luigi Tenco che va a ripassare quotidianità vissute, “Vedrai vedrai”, e al testo adattato si unisce quello originale che rafforza, scuote con possenza e diventa un dualismo verbale di rara bellezza. A Francesco Zecca, regista, va il merito di aver pensato una versione delicata, immersa in un silenzio rispettosissimo della morte, dove la musica e le luci assumono insieme alla recitazione un bel ruolo, e tutto si fonde in un crescendo di emozioni. Non semplice l’operazione sulla carta, e ce ne rendiamo conto, ma il bello sta proprio qui, va dunque dato atto a tutti che l’operazione è riuscita e in un certo senso potrebbe aprire una via nuova per alcuni testi, una drammaturgia contemporanea che certo non oltraggia, al contrario. Dove la propria esistenza, che quella Donna vive, prova con un’enorme sforzo di non sentire il peso della mancanza dell’uomo che ha amato, che ama, nonostante rimangano, ed è inevitabile, i resti da assaporare, come lo stesso Zecca afferma. Come quello che respira, vive, appunto la Donna Vestita di Nero, che, dal cantone dietro si fa carne viva, pensiero presente, occhi che parlano. Una Donna che giustamente trova qui una specie di riscatto, l’esserci davanti allo spettatore.

Francesco Bettin

Ultima modifica il Lunedì, 17 Maggio 2021 10:07

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