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TENDRE JEUDI - regia Matthieu Bauer

Tendre jeudi Tendre jeudi Regia Matthieu Bauer

adattamento da John Steinbeck di Matthieu Bauer
regia: Matthieu Bauer
scene e luci: Jean-Marc Skatchko
costumi: Nathalie Raoul
con Marc Barman, Alain Demoyencourt, Judih Henry, Richard Sandra, Martin Selze, Georgia Stahl
Festival di Avignone, dal 7 al 14 luglio 2007

Corriere della Sera, 12 agosto 2007
Mathieu Bauer porta in scena «Tendre Jeudi» dello scrittore Usa

Steinbeck, il mondo come un coro

Nella prima delle cronache da Avignone dicevo di un percorso che m' ero scelto nel folto dei programmi - una quantità di spettacoli (e di spettatori) che aumenta di anno in anno. Come in Italia, il teatro torna a essere una religione, o un medium privilegiato. Ci sono pochi spettatori per Bouts d' existence, che Brigitte Deruy ha ricavato dall' opera omnia di Char, o per Le Square di Marguerite Duras, messo in scena da Ophélia Teillaud (in programma nell' Off); e c' è una interminabile fila per il nuovo Rodrigo Garcia, davanti al ristorante greco-armeno, anch' esso sovraffollato. L' ultima tappa del mio percorso, dedicato al tema europeo, com' era l' Europa negli anni Quaranta, come è diventata oggi, quali sono le sue prospettive (culturali), l' ultima tappa, dicevo, era riservata ai vincitori, agli americani. In Norden, che Frank Castorf ha tratto da Céline, sia i tedeschi che i francesi erano i vinti. Di vincitori non vi erano che gli americani, coloro che con sé recavano il mondo nuovo (per Castorf-Céline, il mondo dei comics). Quest' idea degli americani come vincitori unici ci ha invero lavorato ai fianchi per mezzo secolo, a nostra insaputa. Non so se l' Europa ora stia di sé costruendo un' immagine più robusta o, almeno, più consapevole. Ma è sicuro che l' America amata dagli europei, a qualunque fede appartenessero, era quella, oggi caduta in oblio, degli americani solitari, che erano ugualmente perdenti. Gli americani delle commedie, fino a Bob Fosse; o dei western, fino a Sam Peckinpah. E in teatro? O in letteratura? Mi ricordo, quando ero ragazzo, l' entusiasmo per John Steinbeck. Ma lo scrittore californiano, già prima della sua morte avvenuta nel 1968, era stato liquidato come un minore. Non rimaneva, di lui, che Grapes of wrath, cioè Furore, a causa del film di Ford. Steinbeck era stato un abbaglio, o un cavallo di Troia, di Vittorini e Pavese, gli ormai di tutto responsabili. Mi sono dunque riaccostato a Steinbeck con circospezione. Mathieu Bauer ci proponeva Tendre jeudi, in italiano Quel fantastico giovedì, un romanzo del 1954, a me sconosciuto e, lo dico con entusiasmo, una meravigliosa sorpresa di fronte alla quale un testo che gli è simile, come Smoke di Paul Auster, impallidisce. Quel fantastico giovedì riprende atmosfera, temi e personaggi del precedente Vicolo Cannery. Mette in scena una piccola comunità, a Monterrey, un paese di pescatori nei pressi di San Francisco. In essa vi è un eroe, Doc, un reduce di guerra. Egli studia le apoplessie dei polpi. È uno scienziato, che ritrova intatto il suo laboratorio, lasciato prima della guerra. Riprende a studiare, ma - se ne accorgono gli amici - muore di tristezza, cioè di solitudine. Gli occorre un amore, una ragazza. Chi potrebbe preoccuparsi di trovargliene una, se non loro? Ciò che a Steinbeck interessa è il senso, ovvero il valore, di questa piccola comunità di amici, che implicitamente contrappone sia all' individuo solo che allo Stato. La meraviglia del romanzo è nello humour, nel ritmo degli eventi, nella rapidità dei dialoghi, in una parola nel suo spirito, che mai si piega di fronte alle difficoltà, alle sventure o alla stessa natura. Se si vuole, lo spettacolo di Bauer è meno felice. Per quanto egli accosti, in modo che si direbbe postmoderno, teatro a cinema, a video, a musica dal vivo; per quanto si adoperi a ricreare il mondo corale di Steinbeck, ciò che gli sfugge è la sua essenza, ilare e lieve, il suo tocco di superlativa intelligenza. Troppo Deleuze e troppo Didi-Hubermann gravano sulle spalle di Bauer, troppa filosofia per la «vita com' è» di Steinbeck. Resta il merito della riscoperta e della fedeltà all' America migliore, l' America buona, che anche noi abbiamo sempre amato.

Franco Cordelli

Ultima modifica il Lunedì, 23 Settembre 2013 07:03

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