giovedì, 28 marzo, 2024
Sei qui: Home / T / TERRA MATTA - regia Vincenzo Pirrotta

TERRA MATTA - regia Vincenzo Pirrotta

Terra matta Terra matta Regia Vincenzo Pirrotta

dall'autobiografia di Vincenzo Rabito
pubblicata da Giulio Einaudi Editore
adattamento di Vincenzo Pirrotta
regia Vincenzo Pirrotta
costumi Giuseppina Maurizi, musiche Luca Mauceri, movimenti coreografici Alessandra Luberti, luci Franco Buzzanca
con Vincenzo Pirrotta, Amalia Contarini, Marcello Montalto, Alessandro Romano
Musicisti: Salvatore Lupo, Giovanni Parrinello, Mario Spolidoro
produzione Teatro Stabile di Catania
Dal 14 Marzo al 5 Aprile 2009 Scenario Pubblico Catania

www.Sipario.it, 6 aprile 2009

Innanzi tutto un felicissimo incontro, quello che incrocia il regista e attore Vincenzo Pirrotta, stupefacente cuntista e cantore di una Sicilia fatta di oralità, di suoni e ritmi, ad un altro Vincenzo che di cognome fa Rabito, autore-analfabeta, paradosso del destino, di un fluviale diario che conta più di 1027 pagine in cui egli riversa, con miracolosa forza narrativa e impulsiva irruenza, i fatti veri della sua vita. Terra matta, pubblicato da Einaudi nel 2007 e divenuto un “caso letterario” degli ultimi anni, nelle mani e nella pelle di Pirrotta, si “fa teatro” per dare vita ad una delle migliori produzioni, per questa stagione, del Teatro Stabile di Catania.
Spinto dal bisogno di ricostruire, attraverso i tasti di una vecchia Olivetti, le dolorose vicende della sua esistenza, Vincenzo Rabito, dal 1968 al 1975 si è chiuso nella sua stanza, scrivendo pagine e pagine fitte di parole a interlinea zero, senza lasciare un centimetro di margine superiore né inferiore né laterale. È una verità mai agghindata, ma ri-percorsa a posteriori quella di Vincenzo Rabito, che finisce per tracciare il senso di un tragicomico destino, della Storia con la S maiuscola, contro cui donchisciottescamente egli ha lottato, vivendo le vicende cruciali dell’ultimo secolo: i mattatoi della Prima e poi della Seconda guerra mondiale, la dittatura e il mito dell’impero coloniale, le crisi politiche, fino ad arrivare alla “bella ebica” del boom economico.
Il punto di vista è fatalmente quello degli ultimi, di chi ha lottato tutta la vita per affrancarsi dalla miseria, di chi subisce gli orrori della guerra e le ingiustizie dei potenti, ma trasforma quella gesta in un epopea, in cui si delinea, come in un grandioso affresco, la sostanza antropologica di un popolo, una sorta di Gattopardo dal basso sostanziato da una spontaneità primitiva e ctonia.
Un matto bisogno di narrare, la necessità di consegnare ai posteri quella memoria che può dare e dà significazione all’esistenza collettiva e individuale, da ciò Vincenzo Rabito trae la forza di valicare il limite della non-conoscenza delle regole della lingua codificata, consegnandoci un testo vivo e incontenibile, potentemente “teatrale”, che scandisce il senso del tempo e sa di parole “dette” nella fascinazione di un cunto. Un analfabeta che si arrampica sulle parole e ci restituisce una parlata ancestrale che condensa un atavico sistema di valori. Quasi a dire che il valore del segno sta nella capacità stessa di comunicare, per questo Vincenzo Rabito si prende la parola da solo e si incarica di ripercorrere la storia e le vicende del ‘900 con la sua inconsapevole arte di “sapere raccontare”, che sa muovere dal comico al tragico, dal riso al pianto, dalla verità alla satira, dall’epica al grottesco, dalla preghiera alla bestemmia, dalla fatalità alla vitalità non addomesticabile del suo protagonista.
Il regista lo ha “tradotto”, sonorizzando con una maestosa grandiosità e intensità di registri vocalici quella lingua, il “rabitese”, creata a proprio uso e consumo, rendendola ora fastosa, ora ruvida e terragna, ora aerea e liquefatta. Allora la verità del personaggio trasuda dalla corporeità aggettante e sbalzata dell’attore Pirrotta, eroico, energico, umanissimo e vitale . Egli sorprende per la capacità di non fare mai abituare agli stessi stilemi il proprio pubblico, riuscendogli sempre di trascinarlo dentro una messa in scena visionaria, ma mai eccessiva e smargiassa, che anzi conserva un apprezzabile senso della misura anche quando fa ruotare intorno al protagonista una giostra di personaggi grotteschi. Deformati, espressionisti e caricaturali i personaggi interpretati dai bravissimi Amalia Contarini, Marcello Montalto e Alessandro Romano sono padroni-sfruttatori, donne-prostitute, forze dell’ordine-marionettizzate, vecchie ingrassate male, medici-Einstein, barbieri-pulcinella. Un buon gioco è fatto dai costumi di Giuseppina Maurizi poveri e opulenti, che ricreano le atmosfere espressionistiche e satiriche di Grosz e dalle coreografie di Alessandra Luberti, come quella che evoca la guerra i cui gesti spezzati, le continue cadute, le mani divaricate sembrano uscite da una cubista e multiprospettica Guernica.

Filippa Ilardo

Ultima modifica il Lunedì, 23 Settembre 2013 07:12

Iscriviti a Sipario Theatre Club

Il primo e unico Theatre Club italiano che ti dà diritto a ricevere importanti sconti, riservati in esclusiva ai suoi iscritti. L'iscrizione a Sipario Theatre Club è gratuita!

About Us

Abbiamo sempre scritto di teatro: sulla carta, dal 1946, sul web, dal 1997, con l'unico scopo di fare e dare cultura. Leggi la nostra storia

Get in touch

  • SIPARIO via Garigliano 8, 20159 Milano MI, Italy
  • +39 02 31055088

Questo sito utilizza cookie propri e si riserva di utilizzare anche cookie di terze parti per garantire la funzionalità del sito e per tenere conto delle scelte di navigazione. Per maggiori dettagli e sapere come negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie è possibile consultare la cookie policy. Accedendo a un qualunque elemento sottostante questo banner si acconsente all'uso dei cookie.

Per saperne di più clicca qui.