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TRACES OF ANTIGONE – regia Elli Papakonstantinou

"Traces of Antigone", regia Elli Papakonstantinou "Traces of Antigone", regia Elli Papakonstantinou

Di Christina Ouzounidis
Regia Elli Papakonstantinou
Ideazione e art direction Elli Papakonstantinou
Drammaturgia Christina Ouzounidis
Traduzione in greco Margarita Mellberg
Traduzione in inglese Elli Papakonstantinou, Gemma Hansson Carbone & Eirini Dermitzaki
Composizione musicale Nalyssa Green & Katerina Papachristou
Visual art advisor Mary Zygouri
Direzione dei movimenti Valia Papachristou
Assistente tecnico Charikleia Petraki
Trailer Dimitra Mitsaki, Eirini Dermitzaki
Assistente alla regia Ero Lefa
Fotografia FLP Athens, Sophia Manoli
Cast Nalyssa Green (voce/tastiere), Serafita Grigoriadou, Gemma Hansson Carbone, Valia Papachristou, Katerina Papachristou (voce/tastiera/basso), Sophia Manoli
Per la Svezia, co-prodotto con compagnia Naprawski
Prodotto da ODC Ensemble/ Elli Papakonstantinou
Festival delle Cento Scale, Potenza, Palazzo della Cultura 19 ottobre 2020

www.Sipario.it, 21 ottobre 2020

E’ forte, molto forte. Il senso greco della tragedia tradotta in realtà. In quello che è oggi reale come violenza di genere che è ideale di coloro appartenenti ad una negazione fortissima della persona. Non è questione di stile o di logica di supremismo. E’ assoluta negazione dell’essere umano. Dell’altro. Io sopra tutti fortissimo e usurpatore del corpo altrui. Perdita d’identità. Violenza senza remore. Elli Papakostantinou prende la scatola di Antigone e la distrugge. Ci mette dentro tutto ciò che è diventato mito e lo distrugge. Prova a fare vedere cosa c’è nel rompere il mito. Cosa rimane. Antigone è la figura che ancora oggi rappresenta quella forza di staccarsi, di mandare all’aria i giochi organizzati e trovare la propria dimensione, la propria immagine. Antigone è la forza femminile, è la forza del mondo infero. E’ ciò che la Papakostantinou fa recupera quelle forze infere per rappresentare su una sorta di palcoscenico fatto di bit quello che è ancora oggi indicibile, impossibile, incomprensibile. La sua rappresentazione Traces of Antigone è più forte di uno spleen. Oltre la tragica visione estetizzante francese, essa è attenta non a narrare ma a scandagliare con forza, con violenza mirata quello che è l’altrui essere, la parte ritenuta debole del maschio/femmina. E’ legata alla realtà della donna. Perché sempre più la forza dominante, quella che distrugge e non crea ha raggiunto dimensioni inimmaginabili. Pertanto la rappresentazione con artefizio piattaforma Zoom è talmente intensa e talmente forte che è necessario respirare oltre le mascherine di cui adesso siamo dotati per fermare qualsiasi contatto con il mondo esterno. Attraverso il respiro appunto. Le donne di Antigone respirano, tanto. Sono forti, arrabbiate, con il dito ricurvo fra i denti ad indicare tutta la forza di ribellarsi, di violentare la violenza per essere soggetto attivo di una dispersione di soggetti. La donna quindi è nell’immaginario collettivo la parte debole, quella sulla quale ed intorno alla quale si può agire. Dimentichi invece di come la donna è generatrice non solo di vita ma di pensiero, di profondità, di umanità. Attraverso quindi un rimando iconico, attraverso le varie finestre della piattaforma, nei tantissimi suoni che la regista usa. Ecco qui Antigone, ecco qui a distanza ciò che forse in questo tempo arriva più forte della forza. L’uso dell’elettronica applicata è necessario proprio perché è non mediato, è immediato. La costruzione e la decostruzione, il racconto mitologico, la sensazione di essere attori di un mondo di attori che stanno mettendo su la recita della disperata rabbia contro la morte. Non per la morte. Contro la morte. In questo il gruppo fatto di donne che mediano il messaggio è fortissimo. Non è utile, non è necessario parlare di bravura. E’ necessario guardare a ciò che arriva. La bravura è uno stilema romantico e virtuosistico. Quello che c’è nelle donne che hanno narrato, scoperto, astratto Antigone e ciò che rappresenta è il presente, il reale, l’infero scoperto. Pertanto in questa chiusura di una produzione nata per essere a distanza nell’incredibile tempo delle distanze serve, funziona, arriva fortissima. In questo la visione di Elli Papakostantinou è unica ed irripetibile. Ora assolutamente ora.

Marco Ranaldi

Ultima modifica il Sabato, 24 Ottobre 2020 16:45

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