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TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO (UN) - regia Cristián Plana

Lascia Musy e Massimiliano Gallo in "Un tram che si chiama desiderio", regia Cristián Plana. Foto Marco Ghidelli Lascia Musy e Massimiliano Gallo in "Un tram che si chiama desiderio", regia Cristián Plana. Foto Marco Ghidelli

di Tennessee Williams
traduzione Masolino d'Amico

regia Cristián Plana

con Mascia Musy, Massimiliano Gallo, Giovanna Di Rauso, Antonello Cossia, Mario Autore, Antonio De Rosa, Antonella Romano

scene e costumi Angela Gaviraghi

disegno luci Cesare Accetta

produzione Teatro Stabile di Napoli, Fundación Teatro a Mil – Cile
Al teatro Mercadante di Napoli, dal 30 novembre all'11 dicembre

Avvenire, 20 dicembre 2016
Un tram in salsa latinoamericana

Opera di forte drammaticità, Un tram che si chiama desiderio di Tennesse Williams coglie il breve percorso di una donna angosciata dallo scorrere del tempo, una che di fronte ai segni evidenti del declino fisico, fugge atterrita, cercando di esorcizzare con l'alcool e il sesso, il ricordo di una realtà che non osa guardare in faccia. Nel dramma Blanche DuBois approda in tram in un suburbio proletario di New Orleans. Discende da una famiglia antica cui estremo retaggio di ricchi possedimenti era rimasta una dimora oggetto di ricordo favoloso e mangiata dalle ipoteche, "Belle Reve". A lei il retaggio era valso solo per accompagnare, priva d'ogni assistenza, le morti, descritte in un atroce inciso, di tutti i vecchi. "I funerali sono piacevoli, in confronto alla morte", dice ad un certo punto. Blanche è estenuata, ha varcato grazie all'alcool il confine tra neurosi e psicopatia, dello psicopatico ha l'insicurezza, la mobilità dell'umore, l'incapacità condita di bovarismo, di percepire il mondo reale. Si rivelerà che giovanissima era andata sposa a un altrettanto giovanissimo, sparatosi in bocca al culmine d'una Polka per l'onta di esser stato scoperto, da lei, in compagnia intima d'un amico. Sconvolta dà un risvolto volitivo per sottolinearne, a costo di un castello di finzioni, la ricerca di un uomo vero, tenero e giusto, che abbia a salvarla dalla ninfomania, dalla disperazione, dall'alcol. Si è messa a fare la vita più che per vivere per illudersi di continuare ad essere viva. Invecchiata e ridicola viene scacciata anche dalla scuola, accusata di molestare ragazzi. Unico rifugio possibile New Orleans dove vive la sorella Stella sposata a un operaio, e coi suoi patetici modi di gran dama spera di trovare ricetto. La brutale mascolinità del cognato, l'immigrato polacco Stanley Kovalsky, non le risparmia nulla dell'estrema degradazione. Un altro operaio, intimamente fragile, è tentato di sposarla: ma per lealtà d'amico, così da allontanarlo definitivamente da lei, Stanley gli rivela tutto il suo passato. Mentre la moglie partorisce in ospedale, egli per sfregio la viola. Al capolinea, dopo le stazioni dove l'alcol ha cercato di dissimulare gli appuntamenti mancati col desiderio, e dopo la violenza del cognato, l'aspetta la follia come estrema speranza. "Chiunque lei sia, mi sono sempre affidata al buoncuore degli estranei". Sono queste le ultime parole che Tennesse Williams fa dire a Blanche mentre si allontana in compagnia del dottore verso il manicomio. Un tram che si chiama desiderio rientra nella categoria dei grandi classici. E per questo ogni rilettura è plausibile. Sempre attuale potrebbe essere ambientato in qualsiasi luogo che non sia più la New Orleans degli States. Oggi, la società multietnica, il villaggio globale, le etnie che si mescolano possono provocare e generare la stessa violenza che c'è nel Tram originale. Ma anche prestarsi ad una rilettura in chiave più contemporanea, concettuale, pur mantenendo sempre quel realismo che chiede la protagonista nell'opera. Il regista Antonio Latella, in una recente edizione, strappando il dramma alla sua ineludibile datazione anni Cinquanta, elaborò un efficacissimo disegno registico in una prospettiva astratta, mentale, dove, nell'affidare la protagonista ad un psicanalista che ne segue la vicenda sollecitandole una catena di ricordi, sottolineava quegli stordimenti psichici che dietro lo schermo del perbenismo e delle buone maniere nascondono il fallimento di una vita bruciata. A firmare ora un nuovo allestimento è il giovane regista cileno Cristián Plana per il Teatro Stabile di Napoli e la Fundación Festival Santiago a Mil. Al dramma di Williams imprime un'ambientazione e un'atmosfera sudamericana, a partire da quell'interno domestico di mobilia povera – un monolocale simile a un basso napoletano in odor di promiscuità -, dai costumi coloratissimi vintage, figurativamente da rivista d'illustrazione d'epoca, e dalle musiche e canzoni di quell'area geografica. Lo spettacolo funziona anche se alcune sequenze sminuiscono la forza del dramma – ad esempio quel correre di Blanche a nascondersi sotto il letto o sotto il tavolo della cucina nei momenti delle scenate di Stanley, o la sostituzione del dottore con un infermiere che attende immobile Blanche sulla soglia della porta per trascinarla via -. Il bel colpo di scena è la sequenza finale quando l'apparato scenografico improvvisamente indietreggia, come a rimpicciolirsi allontanandosi, lasciando la visione del nudo palcoscenico con dei rumori e la voce degli interpreti che assumono un eco metallico che risuona nel vuoto, come se quel racconto venisse da lontano, dalla mente della protagonista. E torna il pertinente richiamo alla dimensione psicoanalitica resa anche dal sostare sul lettino illuminato e posto in evidenza sul quale Blanche indugia nel finale. Mascia Musy regge bene il ruolo della protagonista, credibile negli umori e nei tremiti della passione e della disperazione; meno lo Stanley di Massimiliano Gallo che non ha quella rozzezza sufficiente e credibile nel trasmettere una carica erotica seducente, riducendo tutto a improvvise sfuriate e a posture fisiche da prepotente. Bene Giovanna Di Rauso, nel ruolo di Stella e Antonello Cossia in quello di Mitch, e Antonella Romano, Mario Autore, Antonio De Rosa.

Giuseppe Distefano

Ultima modifica il Giovedì, 22 Dicembre 2016 12:03

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