di e con Giuliana Musso
regia Massimo Somaglino
musiche in scena Gianluigi Meggiorin
collaborazione al soggetto Carla Corso
direzione tecnica Claudio Parrino
produzione La Corte Ospitale
Cascina, La città del teatro, 5 febbraio 2014
Ha all'incirca dieci anni questo monologo per più voci scritto e interpretato da Giuliana Musso, e già ripagato da consensi nutriti nelle numerosissime repliche. Fin dalle prime battute, dopo essersi centrata nell'occhio luminoso di un piazzato, la Musso scopre le carte, indossando le vesti di una beffarda predicatrice sulle note di James Brown: si parla di prostituzione o, per essere più precisi, delle persone che il fenomeno a vario titolo coinvolge: le prostitute, ovviamente, di cui è facile snocciolare sinonimi triviali, ma soprattutto i clienti. Non proprio un tema d'attualità, si direbbe, e anche la galleria di caratteri che si succedono sembra scaturire da matrici tirate troppe volte: l'anziano che ha nostalgia delle case di tolleranza, la nevrotica madre di famiglia attenta al decoro della comunità, il giovane esaltato che non si rassegna a una donna qualunque e agogna i privé, il piccolo imprenditore precipitato nel gorgo della crisi che piange il suo fallimento. Sono impronte già inseguite di una realtà piuttosto sfuggente; eppure qui sono ravvivate da una scrittura spigliata, veloce e umorosa, che affonda le sue radici in una comune terra di appartenenza, il Nord-est d'Italia.
La sensazione, tuttavia, è che lo spettacolo non riesca a prendere le distanze dall'andamento di un reportage giornalistico per la televisione, uno di quelli in cui non si sentono le domande ma solo le risposte date dagli intervistati, e la transizione tra un incontro e l'altro sfuma in un campo lungo commentato da una canzone malinconica, una virgola sonora che serve da pausa e appiglio. Infine, il montaggio delle storie dovrebbe comporre una visione d'insieme sull'argomento del reportage, ma così non avviene, poiché ogni inchiesta non può che violentare la realtà di cui si occupa, e anche lasciandola apparentemente intatta la costringe in un modello preordinato, statisticamente inaccettabile; perché un tema che coinvolge milioni di persone non può mai raccontarsi, riassumersi o distribuirsi in una mezza dozzina di casi esemplari, spesso selezionati in ragione della loro presunta eccezionalità. Da questo "peccato originale", che macchia una parte del giornalismo di inchiesta (e del teatro cosiddetto civile), non si salva Sexmachine, pur coi suoi innegabili aspetti positivi, primo fra tutti la solidità della protagonista. Quanto sia ben rodato lo spettacolo, lo si capisce dalle dinamiche espressive della Musso, che affronta ogni curva pericolosa del suo testo scalando in anticipo in marce, e conosce il momento preciso in cui far valere le sue doti di ripresa, fremendo gridando ruggendo oppure sotterrando la sua voce in un pianissimo struggente, sensibile, screziato. Gianluigi Meggiorin alla chitarra la spalleggia con autoironia, sonicchiando note ora frizzanti ora patetiche.
Moltiplicando gli assoli, la Musso moltiplica gli applausi, che le giungono poi meritatamente rumorosi dopo un'ora e mezza di spettacolo.
Carlo Titomanlio