di Eduardo De Filippo
regia Pierpaolo Sepe
con Benedetto Casillo, Roberto Del Gaudio, Marco Manchisi, Aida Talliente
scene Francesco Ghisu, costumi Annapaola Brancia D'Apricena, luci Cesare Accetta
trucco Vincenzo Cucchiara, aiuto regia Luisa Corcione, aiuto alle scene Valeria Mangiò
produzione Fondazione Salerno Contemporanea – Teatro stabile d'innovazione con Fondazione Campania del Festival – Napoli. Teatro Festival Italia, in collaborazione con Benevento Città Spettacolo
BUTI, Teatro Francesco di Bartolo, 8 gennaio 2014
È la prima commedia di De Filippo ad aver avuto un'edizione a stampa (all'inizio degli anni Trenta), comparve nella puntata inaugurale del primo ciclo televisivo (andata in onda nel 1962) e fece parte dello spettacolo di congedo del 1980; in breve, Sik Sik, l'artefice magico è una pietra miliare del teatro eduardiano, un cavallo di battaglia, come si suol dire. La vicenda umana di Sik Sik, spiantato illusionista che gira di piazza in piazza esibendosi con la moglie, affaticata dalla gravidanza, e che si trova costretto a sostituire il suo ritardatario assistente con uno sprovveduto passante, volge in parodia un tòpos della scrittura partenopea e non solo, vale a dire il performer che sbalordisce il pubblico (come si trova in Petito e Scarpetta, in Petrolini e Viviani). Ma porta con sé anche un retrogusto amaro, perché nel fallimento dello spettacolo imbastito da Sik Sik si intuisce il dissesto di una vita nomade, immiserita dalle difficoltà e dagli espedienti.
Con questo atto unico, proposto in una versione ricavata da una delle ultime messinscene di Eduardo (e con l'occasione del trentennale della morte), la collaborazione tra Pierpaolo Sepe e Benedetto Casillo si arricchisce di un altro tassello, dopo le recenti e fortunate messinscene tratte da Beckett e Ruccello. Casillo non ha il volto angoloso di De Filippo, né possiede l'espressione asimmetrica e quasi spiritata che ognuno ricorda del Maestro; e anche le sue forme arrotondate contraddicono il nomignolo Sik Sik, cioè "magro magro", che invece si attagliava bene a Eduardo. Non per questo è meno convincente nel ruolo dello sgrammaticato "prestigiatorio", un ruolo che già Carlo Cecchi aveva interpretato qualche anno fa col medesimo amore per la napoletanità. E il gioco scenico – che è gioco linguistico, in primis, fatto di malintesi, vocaboli storpiati e sapidissime espressioni idiomatiche, come il tormentone di Sik Sik «se ne care 'o teatro» – riesce comunque assai godibile grazie al rispetto dei tempi comici, premurosamente salvaguardati dal regista, e alla solidità degli interpreti: guappeggiante Roberto Del Gaudio, molto intonati Marco Manchisi e Aida Talliente, quest'ultima nel ruolo di Giorgetta, qui trasformata in Laika, dall'improbabile impasto di russo e dialetto napoletano.
Sebbene, parole di Sepe, «le miserie che vive oggi Napoli siano ben differenti» da quelle del tempo in cui fu scritto l'atto unico, ben pochi sono i momenti in cui il regista si separa dalla traccia drammaturgica, a dimostrazione della sua qualità atemporale e della prescrittività delle commedie eduardiane (sigillate dagli eredi legittimi). L'ossequio al testo d'origine sta anche nella brevissima, ma preziosa, colonna sonora adoperata: un malinconico accompagnamento al pianoforte che apre e chiude la messinscena, smorzandosi all'arrivo in proscenio di Sik Sik e della moglie, e nuovamente dissolvendosi sul pietoso finale dell'ultimo "numero".
Carlo Titomanlio