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SOGNO DEL PRINCIPE DI SALINA-L'ULTIMO GATTOPARDO - regia Andrea Battistini

Sogno del Principe di Salina - L'ultimo Gattopardo Sogno del Principe di Salina - L'ultimo Gattopardo Regia Andrea Battistini

scene: Carmeo Giammello
costumi: Andrea Viotti
elaborazioni musicali: Paolo Cillerai
progetto luci: Jurai Saleri
regia: Andrea Battistini
con Luca Barbareschi
Napoli, Teatro Bellini, dal 23 ottobre 2007

Il Mattino, 25 ottobre 2007
Giornale di Sicilia, 20 agosto 2006
L'apertura della Stagione del Bellini
Barbareschi, un Gattopardo fra teatro e sceneggiato TV

Cercate uno spettacolo di quelli che garantiscono un consumo facile e rassicurante, uno spettacolo che sazi senza appesantire, che non regali colpi d'ala ma nemmeno infligga cadute di tono? «Il sogno del principe di Salina: l'ultimo Gattopardo» - l'allestimento che ha aperto la stagione del Bellini - fa perfettamente al caso vostro. Si tratta, in breve, di un equivalente dello sceneggiato televisivo che, però, non dimentica le ragioni specifiche del teatro. Ciò che significa da un lato una confezione accattivante e dall'altro la capacità di non trascurare i temi profondi del romanzo di Tomasi di Lampedusa, che sono quelli del tempo e della morte: giuste le due battute-chiave pronunciate, appunto, dal principe Fabrizio Corbera, «Non era lecito odiare altro che l'eternità» e «Finché c'è morte c'è speranza». A un simile risultato concorrono, insieme, l'adattamento di Andrea Battistini, che si giova anche delle lettere dell'autore e di altro materiale documentario fornito dal figlio adottivo Gioachino Lanza Tomasi, e l'allusiva scenografia di Carmelo Giammello, in cui le pareti di fondo delle stanze, nel palazzo di Donnafugata, appaiono inclinate all'indietro, quasi stessero per abbattersi e rivelare, così, un orizzonte sconosciuto. Non trascurabili, per di più, sono le invenzioni con cui, in quanto regista, Battistini illumina i passi decisivi del «Gattopardo»: vedi, tanto per fare solo un esempio, quella che nel finale trasferisce don Fabrizio dal letto a una sedia isolata al proscenio, e dal monologo alla descrizione della propria morte in terza persona, quasi che già sia separato da sé. E il resto, s'intende, è affidato all'interpretazione di un Luca Barbareschi (nella foto) particolarmente intenso, che sposta il Gattopardo sul terreno del risentimento e del sarcasmo pur senza dimenticarne i risvolti ombrosi e, di più, dolorosi. Più scadente il resto della compagnia rispetto alla prima edizione dello spettacolo che aprì un anno fa la stagione del Verdi di Salerno. Non a caso i migliori sono i superstiti Totò Onnis (Calogero Sedara), Alessandro Buggiani (Ciccio Tumeo) e Gugliemo Guidi (Padre Pirrone). Molti, comunque, gli applausi alla «prima».

Enrico Fiore

Prendendo spunto da lettere e documenti inediti forniti dagli eredi, non tralasciando evidentemente il romanzo Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Andrea Battistini ha scritto un testo autonomo mettendolo in scena in prima nazionale nel Teatro greco di Taormina, avendo come interprete il temperamentoso Luca Barbareschi nei panni del personaggio principale ovvero don Fabrizio Corbera principe di Salina. Si fanfare per tutte le tre ore di spettacolo la sontuosa scena di Carmelo Giammello, costituita da un grande ovale centrale preso a prestito da quei finestroni di architetture barocche o da quelle antiche cornici che racchiudevano i dagherrotipi di funeree coppie in grottesche pose, riccamente decorata con ampi tendaggi e mobili d’antan e all’interno della quale si svolgono i fatti raccontati in questa versione del Gattopardo che non si discosta molto invero dal noto romanzo, tanto da scatenare le ire del presidente della Titanus, Guido Lo Porto, che da 47 anni, tramite il padre Goffredo, detiene i diritti del romanzo e di ogni tipo di sfruttamento. E che rischia, la miccia che s’è venuta ad innescare, di far naufragare nella baia di Taormina i sogni esterofili del regista e del gigioneggiante Luca Barbareschi che butta in farsa molte battute del suo principe di Salina. Ma a parte la querelle, lo spettacolo spicca, in particolare, per la bellezza dei costumi di Andrea Viotti, per il resto si trascina avanti seguendo il ritmo del romanzo. La sensazione che si ha è quella d’assistere a dei tableaux vivants che non hanno niente di proustiano o di tomasmanniano, che durano il tempo di un’aria o d’una ballata tanto da indurre il pubblico ad applaudire ad esecuzione avvenuta. Solo in due casi l’applauso è stato spontaneo: quando l’ottimo Totò Onnis nei panni del rozzo don Calogero Sedara elenca a don Fabrizio Corbera la cospicua dote che darà alla figlia Angelica, (legnosetta Bianca Guaccero, forse pure emoziata e con un filo di voce) quando andrà sposa del principino Tancredi Falconeri ( non luccica di luce propria Alfredo Angelici) e quando Luca Barbareschi nel rifiutare con molta convinzione il seggio di senatore offertogli dal funzionario piemontese Chevalley (anche Adolfo Fenoglio rimane in ombra) descrive il carattere pittoresco dei siciliani che mai riusciranno a cambiare perché troppo perfetti. Si voglia o no, chi mette in scena qualcosa che ha a che fare con Il gattopardo, lo ha fatto Franco Enriquez e poi Turi Ferro e poi ancora al cinema Roberto Andò con Il manoscritto del principe, deve fare i conti col film del 1963 di Luchino Visconti che vinse a Cannes la Palma d’oro. Sarà stato pure un cow boy ubriaco Burt Lancaster, ma in quel film è stato un superbo principe di Salina, in grado di far capire come quel suo mondo aristocratico puzzasse di putredine e come dopo i gattopardi e i leoni, quelli che l’avrebbero sostituito nient’altro sarebbero stati che sciacalletti e iene. C’era in Visconti ma anche qui nella regia di Battistini una critica all’immobilismo e al trasformismo politico ( “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”) tanto da rendere attualissimo sia lo spettacolo che il romanzo, ma di sogni del principe di Salina se ne sono visti pochi, rimanendo un po’ in ombra il senso onirico dell’opera annunciato alla vigilia. La sensazione infine che se ne ricava è d’avere assistito ad uno spettacolo supponente, privo della famosa scena del ballo, con le musiche di Paolo Cillerai che non sono certamente quelle di Nino Rota, così dicasi per le luci di Pietro Sperduti che lasciava in ombra spesso i protagonisti, alcuni dei quali  non si facevano udire dal pubblico che li ha più volte richiamati  con sonori “voce,voce”.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Giovedì, 26 Settembre 2013 08:50

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