di Bertolt Brecht, traduzione Ruth Leiser e Franco Fortini
regia Luca Ronconi, scene Margherita Palli, costumi Gianluca Sbicca, luci A. J. Weissbard, musiche a cura di Paolo Terni, interventi filmici Emanuele Di Bacco, Nicolangelo Gelormini
con Francesca Ciocchetti, Roberto Ciufoli, Gianluigi Fogacci, Giovanni Ludeno, Michele Maccagno, Alberto Mancioppi, Francesco Migliaccio, Massimo Odierna, Maria Paiato, Paolo Pierobon, Fausto Russo Alesi, Elisabetta Scarano
una produzione Piccolo Teatro di Milano-Teatro d'Europa, The State Academic Maly Theatre of Russia, Mosca, in collaborazione con Centro Sperimentale di Cinematografia - Sede Lombardia, per gentile concessione dell'editore Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main
Piccolo Teatro Grassi, dal 28 febbraio al 5 aprile 2012
Brechtiano per vocazione se non per statuto durante la direzione di Strehler e Grassi, il Piccolo Teatro di Milano produsse "Santa Giovanna dei Macelli" all'inizio degli anni settanta (regia di Giorgio Strehler, è implicito) mirando a restituire, attraverso un linguaggio epico ed di forte impatto visivo, una sorta di 'poemetto della sopravvivenza' ambientato nella Chicago della Grande Depressione del '29, raffigurata alla stregua di un 'inferno dei vivi' in fila dinanzi ai marmittoni dell'esercito della salvezza, in attesa di cibo e di lavoro, reso esplicitamente inaccessibile dalle chiuse cancellate di fabbriche ed opifici. Ove la macellazione di carne commestibile (orrendi quarti di bue penzolanti dal soffitto) era lampante e mai superata allusione alla 'macelleria sociale' che si accompagna ai dettami dell'economia di mercato ed all'utilizzo 'usa e getta' della forza-lavoro. Ieri come oggi esposta al primitivo interesse di certo capitalismo anti-keynesiano, supportato da 'integralismi accademici' e , all' occorrenza, da varie tecnocrazie dello sterminio, che vanno dal nazifascismo alla sua variante 'soft', oggi configurabile nella più perfida delle riflessioni: "perché farli fori noi, se lo fanno cosi bene da soli?". Oppure con gli strumenti della finanza predona vaganti nella globalità del pianeta, al posto dei gas nervini con cui Ronald Reagan immaginava di porre fine, senza cannoni, all'insubordinazione dei paesi poveri.
Diverso è l'approccio di Luca Ronconi alla lezione brechtiana e al 'didascalico soliloquio' di personaggio e straneazione. Qui elaborato in modo meno rigido e nessun automatismo tra esternazione dei ruoli (attorali) e loro distaccato 'commento', faccia a faccia con lo spettatore. Ortodossie a parte, credo che la messinscena instauri un rapporto più snello e decantato con quel particolare tipo di apologo che è struttura portante della teoria teatrale di Brecht. Qui sollevata dalla sua iniziale funzione 'didattica', di potenziale emancipazione politica attraverso l'auspicio del riscatto proletario, ingabbiato in schemi ideologici e insurrezionalisti (così come, generosamente, li concepiva Brecht).
Più lieve, non serioso, quasi euristico "Santa Giovanna del Macelli" agisce in una sorta di universo 'pop' (con le debite filiazioni da Warhol) in cui i datori di lavoro, macellai arricchiti, sono chiusi dentro enormi scatola d'alluminio (quasi bidoni da "Finale di partita"), mentre gli operai, in tuta logora e grigio scura, fuoriescono da una sorta di grande botola sistemata in sottopalco. Facendo perno sul rapporto di spregio e attrazione che innerva l'endiade di personaggi complementari ed opposti quali il cinico magnate della carne Mauler e il sottotenente dei 'Cappelli Neri' Giovanna Dark.
La cui missione in soccorso degli umili si vanifica nella 'vacuità di un solidarismo compassionevole privo di strategia, insurrezione e orizzonte politico'-come commentavano i critici marxisti ed antipacifisti dello scorso secolo. Non avendo poi torto se, stando all'allegoria brechtiana, Giovanna morirà di polmonite, al freddo e al gelo, lanciando agli impoveriti quel testamento morale ("pensate non solo ad essere stati buoni, ma a lasciare un mondo buono") che i nemici di classe sapranno strumentalizzare per elevarla alla gloria degli altari.
Mentre il cinico Mauler, che pur si commuove alla visione dei derelitti che un tempo 'furono maestranze', saprà trarre profitto persino dai suoi cedimenti emotivi elaborati a truce strumento di mistificazione e guadagno.
Tante e ineludibili restano le analogie con il presente, messe a fuoco da Ronconi, specie quando Brecht profetizza sui ruoli della Borsa, della finanza, della speculazione senza fine (ma con ben prefissati fini), in un contesto drammaturgico contiguo all'apocalisse di Karl Kraus ("Gli ultimi giorni dell'umanità"), qui alleviata da atmosfere meno cupe, ma persistentemente gaglioffe, smidollate, quasi fa fumetto noir- e della moltiplicazione dei generi espressivi. Ibridi ma sanguigni nelle varie folate di inserti cinematografici, melodramma verdiano, esplicite (ritagliate) citazioni dal disincanto brecthiano per la voluta mancanza di pathos proprio nei momenti in cui monta la tragedia collettiva e individuale. E nella valorizzazione dell'allestimento di cui si fanno carico la sempre superlativa Maria Paiato, eclettica 'mater dolorosa' capace di accenti 'estremi' senza mai scadere nel sentimentalismo tremebondo. Con a fianco il versatile Fausto Russo Alesi che passa disinvoltamente dalla semi-enfasi del 'parvenu' alla mimica burattinesca di furfante frastornato ma vincente. Come sortito da un disegno di Grosz.
Angelo Pizzuto