di Henrik Ibsen
versione italiana e adattamento di Fausto Paravidino
regia di Rimas Tuminas
personaggi e interpreti Andrea Jonasson (Helene Alving), Gianluca Merolli (Osvald Alving), Fabio Sartor (Pastore Manders), Giancarlo Previati (Jakob Engstrand), Eleonora Panizzo (Regine Engstrand)
scene e costume di Adomas Jacovskis
musica Faustas Latènas, Giedrius Puskunigis, Jean Sibelius, Georges Bizet
disegno luci di Fiammetta Baldiserri
produzione TSV – Teatro Stabile del Veneto
al teatro Sociale, Brescia, 25 gennaio 2023
«Il testo è stato massacrato», commenta alla fine uno spettatore. Da qui bisogna partire, dalla riscrittura che Fausto Paravidino ha fatto di Spettri di Ibsen, una riscrittura che non ha compiuto alcun massacro, ma si crede abbia reso più ficcante, diretto, asciutto il plot, calmierando quelle parti più strettamente legate alla vicenda dell’asilo dedicato al capitano Alving, all’improvviso incendio, nonché alla creazione della Casa dei Marinai, bordello sotto mentite spoglie. Spettri di Paravidino/Tuminas vive di un’asciuttezza che disvela con ferocia e con un ritmo serrato e sempre adeguatamente teso il sollevarsi del sipario sulla verità. E non è un caso che Rimas Tuminas dica: «La verità è la cosa più difficile da rivelare». Ed è questo che fa la regia del lituano, aiuto per anni di Eimuntas Nekrosius: cristallizza e focalizza i passaggi dolorosi e inquietanti che portano alla verità. Il pretesto è l’inaugurazione dell’asilo intitolato al capitano Alving, considerato un uomo irreprensibile moralmente, ma che così non è stato. L’arrivo del pastore Manders (Fabio Sartor) per l’inaugurazione dell’asilo è il detonatore di un inesorabile disvelamento che fa andare in cenere l’onorabilità del capitano, fa emergere ciò che Helen (Andrea Jonasson) non ha mai confessato: la relazione del marito con la domestica da cui è nata Regine (Eleonora Panizzo) che Osvald Alving (Gianluca Merolli) vorrebbe sposare e a cui affida il suo ricatto dalla malattia e dalla depressione, riscatto impossibile visto che la ragazza altro non è che la sua sorellastra, accolta dal falegname Jacob (Giancarlo Previati) come sua figlia, sempre per mantenere una facciata di onorabilità. Gli spettri del titolo si presentano tutti nel cupo e un poco catacombale grande salotto, sempre in penombra e in cui persiste una sorta di nebbia/fumo che è preannuncio e lascito dell’incendio dell’asilo, ma anche simbolo della nebbia che copre le verità, che sfuma tutto. Rimas Tuminas e l’adattamento drammaturgico di Paravidino costruiscono un racconto scenico che non conosce digressioni, che va subito al punto e mette di fronte tutti – pubblico compreso – alla presa di coscienza del dolore che mina la casa dell’onorato e fedifrago capitano Alving. È impietoso il cadere delle connivenze, non c’è soluzione e il massacro – questo sì potente e intenso - è servito nel corpo sofferente di Osvald che finisce col comporre una sorta di pietà cristologica ai piedi della madre. Spettri vive di una pesante e coinvolgente atmosfera di attesa, si ha l’impressione che si viva l’immobile sospensione che precede il temporale. Gli attori – chiamati a una partitura fisica molto controllata e di eco nekrosiana – dicono le battute, non recitano, ci tagliano fuori, parlano fra loro e noi spettatori siamo lì impotenti ad assistere all’impietosa messa a nudo degli inganni perbenisti del capitano e alla voglia raccontare e svelare ciò che è stato da parte di Helen, una Andrea Jonasson misurata e ficcante, precisa nei toni e nei movimenti. Ma, come si diceva, è tutto Spettri di Tuminas che sa essere convincente, ti costringe crudelmente ad assistere alle verità taciute, senza poter dire basta, a tratti ti manca il respiro, come accade quando troppo dolore ti annichilisce. E con questa sensazione l’applauso finale non può che essere liberatorio e caloroso.
Nicola Arrigoni