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SERVO DI SCENA – regia Guglielmo Ferro

"Servo di scena", regia Guglielmo Ferro. Foto Tommaso le Pera "Servo di scena", regia Guglielmo Ferro. Foto Tommaso le Pera

di Ronald Harwood
traduzione di Masolino D’ Amico
con Geppy Glejieses, Maurizio Micheli, Lucia Poli
e con Roberta Lucca, Antonio Sarasso, Teo Guarini, Dacia D’Acunto
regia Guglielmo Ferro
scenografo realizzatore Michele Gigi
costumi Chiara Donato
musiche Massimiliano Pace
produzione Gitiesse Artisti Riuniti in coproduzione con Teatro Stabile di Catania
teatro Remondini, Bassano del Grappa, 30 novembre 2022

www.Sipario.it, 3 dicembre

Ossessionato dal tempo che passa, da malanni esistenziali al limite della paranoia, Sir Ronald condiziona la sua (e quella degli altri) vita, professionale e non. Siamo all’interno di dinamiche di compagnia, di attori che recitano sotto le bombe in pieno conflitto negli anni Quaranta, in Inghilterra. Gli attori sentono il peso di sollevare, in qualche modo, con le commedie il loro popolo, soprattutto Sir Ronald appunto, che assieme ai suoi malanni, che spesso sono anche vere e proprie fissazioni e manie di grandezza, gigioneggia e cerca una ragione di vita momento dopo momento, in questa fase finale della sua esistenza. Gli sta accanto, in questo bel testo di Ronald Harwood il fedelissimo servo di scena Norman, tuttofare da palcoscenico, persino a un certo punto una specie di imbonitore. Il rapporto tra i due è strettissimo, in un contesto malinconico che a volte drammaturgicamente volge verso l’ironia, nonostante l’oppressione che si vive, la guerra sottofondo. Qui e là affiorano battute sagaci, che talvolta passano ma non si dimenticano. Sir racchiude un po’ tutti i sentimenti in se stesso: cattiveria, megalomania, disprezzo, ma anche amore e dedizione, follia (quella di voler a tutti i costi appunti recitare in pieno rischio di morte), Norman a sua volta (un ottimo Maurizio Micheli, attore puro e di grande esperienza, e si vede) cerca di colmare i buchi psicologici del suo “titolare”, facendo da filtro e da collante anche con gli altri compagni di scena nella scena, gli attori, la direttrice di palcoscenico, Milady. Ma Sir Ronald non si ferma qui, sta scrivendo anche la sua autobiografia, sebbene si capisce subito che oltre le prime righe, di dediche, non è andato, e sono fogli bianchi quelli che imperversano e rimangono sul quaderno. Siamo nel teatro del teatro, l’impianto della commedia è perfettamente concreto e ottimale, e finalmente (ormai sempre meno, purtroppo) riporta al vero teatro, quello che piace a noi puri appassionati. Si ride, ci si diverte, si vede bel teatro grazie alla bravura degli attori, soprattutto dei tre mattatori con Glejieses che articola molto bene il suo Sir Ronald in pluridiramazioni recitative, Lucia Poli concreta e ammaliatrice, e Micheli di cui sopra, attore solido, sempre attentissimo. L’esser despota da parte di Sir non lo salverà certamente, nonostante un tentativo probabilmente durato tutta la vita di “far rete” con chi gli sta attorno, ora più che mai: Milady, la giovane e disponibile attrice Irene (Dacia D’Acunto, anche lei ottima), la direttrice di scena Madge, e gli altri interpreti, chi viene e chi va dal conflitto. Il testo di Harwood è pieno di bei significati, ed è un testo teatrale a tutti gli effetti, dove si trovano sfumature indovinate, accadimenti giocabili su più fronti, sviluppanti parabole significative, insomma è tutto un bel vedere. E’ un teatro che val la pena portare in scena per un riavvicinare lo spettatore a quel che purtroppo si è un po’ perduto in questo ultimo periodo. Aiuta molto, oltre agli interpreti, la regia di Guglielmo Ferro, precisa e scorrevole, dove una trovata divertente e intelligente come il sipario che si chiude con l’attore protagonista che esce a prendersi gli applausi scombussola un po’ la platea, ma inorgoglisce l’andare in scena, lo fa più possente. Il “Re Lear” a cui Sir tenta di aggrapparsi (peraltro dimenticandosi battute) è un’altra simbologia, l’esser tiranno, palco e camerino che si intersecano. “Il teatro non è un posto per morire” si sente a un certo punto, ma chi vive in scena è come se inevitabilmente morisse o volesse farlo lì, e i bilanci esistenziali sono a ricordare chi si è e dove si va. Commedia e dramma incombono alla pari, come la delusione dello stesso Norman nel finale, lo smarrimento di tutti gli altri componenti della compagnia, ognuno a suo ruolo. Si torna più in sé, si diventa più concreti uscendo dalla scena. E c’è chi se ne va. Molti applausi, caldi e sinceri, a Bassano, dove la commedia apriva di fatto la stagione teatrale 2022-23, con vero, piacevole gusto.

Francesco Bettin

Ultima modifica il Mercoledì, 07 Dicembre 2022 22:56

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