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SHAME CULTURE - regia Andrea Lucchetta

"Shame Culture", regia Andrea Lucchetta. Foto Manuela Giusto "Shame Culture", regia Andrea Lucchetta. Foto Manuela Giusto

ACCADEMIA NAZIONALE D'ARTE DRAMMATICA SILVIO D'AMICO
regia di Andrea Lucchetta
Con: Anna Bisciari, Marco Fanizzi, Vincenzo Grassi
Scene e costumi: Dario Gessati
Luci: Gianni Staropoli

Musiche: Luca Nostro

Supervisione al video: Igor Renzetti

Direttore di scena: Alberto Rossi

Sarta: Maria Giovanna Spedicati

Sound Designer e Fonico: Luca Gaudenzi

Foto: Manuela Giusto

Video: Carlo Fabiano

Grafiche: Francesco Morgante
Spoleto – Festival dei Due Mondi 2022
Rocca Albornoziana 04 - 05 Luglio 2022

www.Sipario.it, 6 luglio 2022

Diceva Sartre che l’uomo è il suo progetto e le scelte che egli opera. E nel corso dell’esistenza, grazie a questa dinamica, verrà a crearsi la sua essenza.
Parole vere, che risuonano con timbri più autentici in un mondo dove le nuove generazioni faticano a individuare il loro progetto d’esistenza, trovando difficoltà nell’affermarlo, incuranti d’ogni giudizio. Di questa situazione i giornali non parlano. Ma il teatro, con gli strumenti più raffinati che ha a disposizione: la drammaturgia, la rappresentazione, l’azione scenica, sì.
Shame culture è un progetto artistico che parte da un’inchiesta con, al centro, il tema di quanto il futuro che un ragazzo tenta di realizzare sia davvero corrispondente ai suoi desideri o non, piuttosto, un feticcio che gli deriva da ambizioni che non gli appartengono e che sono espressione dei futuri abortiti, non per loro colpa, dei genitori. I quali cercano disperatamente di farli rivivere attraverso i figli, così danneggiandoli. L’idea che un percorso universitario sia la panacea ad ogni problema; che la facoltà da scegliere debba essere quella con maggiori possibilità professionali e soffocando una passione individuale: tutto questo, oggi soprattutto, viene vissuto dalle nuove generazioni con grande imbarazzo, dando vita a complessi e problematiche che spesso sfociano in gesti definitivi: il suicidio. Messo alle strette, un ragazzo che non ha la forza di opporre il suo desiderio alle altrui volontà, cosa può fare? Mentire, omettere, nascondere, chiudersi in sé.
Tutto questo, in Shame culture, è reso drammaturgicamente con una scrittura serrata, veloce, che si avvale anche di sezioni musicali con suoni che si ripetono in modo ossessivo nel giro di brevi battute; e con una recitazione sostenuta, che procede al trotto e che non conosce pause. Tutto deve concorrere a ricreare quell’atmosfera di asfissia che ottenebra gli animi di ragazzi il cui universo interiore è distrutto dalla miopia, dalla banalità, dal grigiore e dai pregiudizi di un mondo adulto che vuole omogeneizzare qualsiasi cosa gli risulti essere diverso e più stimolante.
I tre interpreti, su di un palco essenziale, con pochi elementi scenografici (un pc portatile, due sedie e un banco), e con le luci di scena coperte da orrendi cappellini in plastica, hanno dato una prova di recitazione eccezionale. Anna Bisciari ha saputo rendere con tinte misurate la sensazione di un dolore soffocato, incompreso, che non può esplodere. Marco Fanizzi ha interpretato al meglio la condizione di durezza, severità e lieve cattiveria di chi non vede rispettati i propri sogni. E Vincenzo Grassi, con la bravura e la raffinatezza che da sempre lo contraddistinguono, ha dipinto sul suo volto e impresso alle sue battute una rassegnazione fatta di dolcezza e sul punto di tradursi in un abbraccio.
Una vera novità teatrale, Shame culture. Perché i tre attori, più che a personaggi, hanno dato vita a stati d’animo: quanto di più fugace ci sia da recitare.
Ma loro lo hanno fatto al meglio.

Pierluigi Pietricola

Ultima modifica il Domenica, 10 Luglio 2022 19:06

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