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STILL LIFE - di Marta Górnicka

"Still Life”, di Marta Górnicka "Still Life”, di Marta Górnicka

A Chorus for Animals, People and all other Lives

PRIMA NAZIONALE
 
di Marta Górnicka
con Sandra Bourdonnec, Lindy Larsson, Hila Meckier, Gian Mellone, David Myung, Vidina Popov, Sesede Terziyan, Rika Weniger
musica Polina Lapkovskaja 
coreografia Anna Godowska 
scene Robert Rumas 
costumi Sophia May 
suoni Rafał Ryterski 
video EXPANDERFILM
video animazione 3D Luis August Krawen, Alexander Pannier 
drammaturgia Agata Adamiecka-Sitek, Clara Probst 
pupazzi Atelier Judith Mähler 
assistente alla regia Dominika Homa 
direttore di scena Berit Lass
Still Life. A Chorus for Animals, People and all other Lives è parte del progetto Chorus of Women Berlin
finanziato dalla Fondazione Culturale della Repubblica Federale di Germania,
Dipartimento per la cultura e l'Europa del Senato di Berlino
con la gentile collaborazione del Museum für Naturkunde Berlin
Visto al Teatro Studio Melato, Milano, sabato 28 maggio 2022

www.Sipario.it, 31 maggio 2022

Lo spazio ellittico del Teatro Studio Melato è chiuso in fondo da una panoramica semicircolare che include il pubblico in un gesto aereo di curvilinea annessione. “Still life” è presentato come “un coro dionisiaco che pone brutalmente al pubblico la riflessione su come sostenere e ricostruire le connessioni in un’epoca di epidemia, digitalizzazione ed estinzione di massa”. A entrare in scena è un gruppo di performers con abiti di tessuto sintetico grigio perla, dal taglio futuristico. L’inizio è segnato dal gesto di attacco di una direttrice di scena (la stessa regista) cui è stato approntato un leggìo nel corridoio della gradinata, su cui prendono posto gli spettatori, posta al centro della platea. Per tutto lo spettacolo la regista dirigerà il rito dell’esecuzione. E di esecuzione musicale si potrebbe pienamente parlare. La caratteristica più propriamente teatrale rimane sullo sfondo. Lo si potrebbe dire un teatro della voce. Perché poi l’agire degli attori nello spazio è costretto in una cifra di movimenti coordinati, abbastanza schematica e ripetitiva.

L’attitudine che non abbandona mai i performer è quella della frontalità e di una postura del corpo neutra, aperta, in attesa di azione. Ma non si vedranno azioni propriamente dette, nel corso dell’opera, solo un susseguirsi di schemi coreografici che rimescolano le posizioni degli attori, con l’inserimento, è vero, anche di variazioni personali, micro-assoli, nel lavoro di gruppo, tuttavia assorbiti poi nel periodico ritornare della collettiva disposizione frontale, in un repertorio di gesti e posture che non si distanzia molto dall’iconicità di un certo teatro musicale americano. Una struttura gestuale e coreografica che, per essere molto strettamente costruita attorno alla coralità continua dell’emissione vocale, non si lascia sciogliere in comunicazione emotiva. Ed anche se l’energia degli attori è continua e intensa, questo stesso flusso, emesso quasi senza interruzioni, se si escludono alcune cesure, risulta infine essere il problema principale dello spettacolo, che non mette in moto vere variazioni di ritmo, e gioca tutte le sue possibilità all’interno di un’organizzazione corale che non sbocca mai veramente in un nuovo orizzonte, sia sonoro che gestual-coreografico, o in un diverso paesaggio teatrale.

L’unica invenzione (visiva) propriamente detta la si vede nel finale, quando sullo schermo semicircolare di fondo appare videoproiettata un’immensa teca che contiene le immagini di innumerevoli bestie, le quali via via si animano abbandonando le loro postazioni sullo schermo per proiettarsi sulle pareti della platea.

I testi e la tessitura drammaturgica veicolano un “messaggio” eticamente molto orientato, forte – temi d’emergenza, con cui l’attuale umanità si trova a dover fare i conti. Ma non si può dire che ciò emerga dalle azioni degli attori, dalla loro relazione reciproca e da quella con lo spazio. Pare piuttosto manifestarsi al solo livello dell’enunciazione verbale (testi in tedesco e inglese, con sopratitoli in italiano), mentre l’attenzione riposta nel mantenere coralità di gesti ed emissione sembra prendere il sopravvento. La dimensione del proclama sembra permeare molta parte del lavoro, in certi momenti quasi richiamando certe storiche tirate del Living Theatre; con la differenza che in quel caso il livello dell’enunciazione era sostenuto dalla testimonianza di un modo radicalmente diverso di vivere i rapporti umani e politici, messo autenticamente e anche dolorosamente in pratica da una comunità autonoma e anarchica, in tensione continua verso una forma di utopia micro-sociale che chiedeva un prezzo anche alle vite degli attori. Qui non si avverte la stessa tensione esistenziale, purtroppo, e il coro è certo una potente macchina sonora (peraltro molto bene amplificata), tuttavia l’impressione generale è che non si superino mai i limiti di un’impeccabile esecuzione.

Franco Acquaviva

Ultima modifica il Giovedì, 02 Giugno 2022 10:22

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