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SHAME CULTURE - regia Andrea Lucchetta

"Shame culture", regia Andrea Lucchetta. Foto Manuela Giusto "Shame culture", regia Andrea Lucchetta. Foto Manuela Giusto

Drammaturgia di Asilo Republic
Regia di Andrea Lucchetta
con Anna Bisciari, Marco Fanizzi e Vincenzo Grassi
Luci Gianni Staropoli
Scene e costumi Dario Gessati
Musiche Luca Nostro
Supervisione al video Igor Renzetti
Direttore di scena Alberto Rossi
Sarta Maria Giovanna Spedicati
Fonico Luca Gaudenzi
Foto Manuela Giusto
Video Carlo Fabiano
Grafiche Francesco Morgante
Teatro Studio Eleonora Duse, Accademia Nazionale Silvio D’Amico, 9 e 10 Febbraio ore 20.00 e 11 Febbraio ore 18.00 - 2022

www.Sipario.it, 11 febbraio 2022

Ne L’arte della commedia Eduardo De Filippo mette queste parole in bocca al protagonista, Oreste Campese: “È un fatto scontato che il teatro deve essere lo specchio della vita umana, riproduzione esatta del costume e immagine palpitante di verità; di una verità che abbia dentro pure qualcosa di profetico”. Parole che tornano vive quando si ha la possibilità di assistere – come accaduto a chi scrive – allo spettacolo Shame culture al Teatro Studio Duse dell’Accademia D’Amico.
L’idea su cui getta il seme e sviluppa la scrittura drammaturgica a cura di Asilo Republic è semplice e non banale: dar vita, voce e corpo a quelle migliaia di giovani che scelgono una strada senza convinzione, per nulla corrispondendo a ciò che nei loro cuori palpita in modo vivo, e per questa ragione se ne vergognano. E ne consegue che tutto ciò che fanno non è frutto di un loro progetto, d’una idea di vita che pian piano disegneranno, ma la conseguenza di un “fare piacere” – ad amici, genitori, parenti – pur di non deludere aspettative e idee. C’è una battuta che nello spettacolo rappresenta la chiave di tutto. Ad un certo punto, uno dei tre protagonisti dice – cito a memoria: “Io per loro – i genitori – non sono una persona, ma un’idea. Come posso competere con un’idea? Non sarò mai all’altezza”. Tutto è racchiuso qua. Da qui iniziano le menzogne, i pudori, i complessi che molti ragazzi, obbligati a iscriversi all’università perché così le famiglie e il mondo vogliono e non perché siano loro a desiderarlo, si trovano a dover ordire e patire pur di sopravvivere. Triste l’epilogo che un destino siffatto prepara per queste nuove generazioni: un epilogo ricco di amarezza, che spesso conduce addirittura a gesti estremi, impensabili, irrimediabili.
Questa condizione di chiusura simile all’assurdo sartriano e beckettiano, priva di comunicazione, è resa dal regista Andrea Lucchetta attraverso una circolarità. I tre attori – Anna Bisciari, Marco Fanizzi e Vincenzo Grassi – interpretano alternatamente il ruolo del figlio, del genitore e dell’amico. In tal modo, vittime e carnefici si trasfondono l’uno nell’altro. Non vi è spazio per divisioni insanabili. Come nella vita, tutto si regge su sfumature più che su tinte nette. E questo Shame culture lo rispecchia al meglio.
Bravissimi tutti gli interpreti. Delicata e dolce da figlia, fredda e severa da madre Anna Bisciari. Discreto e timido da figlio, silenzioso ma dolce da padre, Marco Fanizzi. Rassegnato e chiuso in sé da figlio, svagato e farfallone da amico e fratello Vincenzo Grassi. Musicale, altamente ritmica la recitazione di Anna Bisciari, molto brava nel sottolineare l’importanza dei silenzi tra le sue parole. Ma su tutti, Vincenzo Grassi si è particolarmente distinto per aver conferito alla sua espressività corporea e vocale una leggerezza tale da permettere alle sue battute ed ai suoi ruoli di somigliare a pugnali affilati, pronti a penetrare nelle carni più coriacee, così sottolineando la drammaticità di quanto rappresentato.

Pierluigi Pietricola

Ultima modifica il Sabato, 12 Febbraio 2022 12:43

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